Spedizione MC KINLEY 1961

Gigi Alippi, Ragno della Grignetta, Guida Alpina, Cavaliere della Repubblica Italiana, ci ha passato il suo diario scritto durante la spedizione al Monte Mc. Kinley nel 1961, guidata da Riccardo Cassin.

Lo pubblichiamo integralmente, lasciando all’autore ogni responsabilità di quanto scrive.

La S.E.L.

 

Ho voluto trascrivere il mio diario scritto 50 anni or sono, sulla Spedizione città di Lecco al McKinley, pari come e’ stato scritto allora. Gigi Alippi.

Chiedo scusa per errori grammaticali, di sintassi, ripetitivi, che troverete ma gli aggiornamenti giornalieri venivano scritti su di un ginocchio, su un cuscino della tenda, a volte in situazioni stressanti di stanchezza e con parecchi gradi sotto zero.

 

La nostra avventura è cominciata il giorno 11 giugno 1961, si chiama: Città di Lecco.

Dalla Malpensa su un aereo, ci imbarchiamo. Il volo è bellissimo e regolare ma per un forte vento il pilota prudenzialmente effettua uno scalo a Shanon in Irlanda, atterraggio bellissimo nel paese delle lunghe facce, dove le cose sono tutte uguali e la terra e’ tutta verde. Riprendiamo il volo e dopo sei ore giungiamo a New York.

Un immenso campo di aviazione ci attende l’atterraggio si effettua maluccio a causa delle cattive condizioni meteorologiche. In attesa del nostro arrivo c’e’ il Sig. Ernani Faè il quale e’ stato un fortissimo alpinista dolomitico.

L’accoglienza è italianissima: macchina, casa, tutto a nostra disposizione.

Lunedì 12 giugno 1961. Da New York partenza alle ore 16. Dopo avere congedato Ernani con mille ringraziamenti partiamo.

Il campo d’aviazione sembra più immenso, gli aeroplani sono come le mosche. Arrivo a Chicago alle ore 17: 30. Partenza ore 7 con scalo a Seattle 10 ore e tre quarti da New York, arrivo ad Anchorage lunedì.

All’aeroporto di Anchorage oltre a Riccardo e Romano ci sono moltissimi italiani ad attenderci; l’accoglienza e ’ caldissima. Il vice indaco di Anchorage ci consegna le chiavi della città a ricordo e in segno d’ospitalità. La serata passa in un locale notturno in bella compagnia.

Martedì 13. Breve colazione all’americana la quale ci lascia poco soddisfatti e a stomaco semi vuoto. Girovaghiamo per la città visitando posti celebri, siamo ricevuti anche da un giornale. Il pomeriggio lo impieghiamo alla ricerca del gas il quale ci preoccupa molto non essendo arrivato via aerea. I nostri amici italiani, quasi tutti parrucchieri, c’invitano in un locale gestito da un francese, dove possiamo gustare una buona cena. Alla cena vi hanno preso parte oltre tutti gli italiani della città, anche il Presidente del Club alpino d’Alaska, il quale ci regala un augurio composto da una medaglia con una pepita d’oro grezzo. Terminata la cena, i ballerini si esibiscono e, tra risate balli e baci, giunge l’ora della nanna.

Mercoledì 14. Alzata mattutina per la S. Messa e la Comunione. Alle 9 partiamo con il treno per Talkeetna. I paesaggi sono belli all’inizio poi diventano noiosi perché tutti uguali, un’immensa foresta.

Alla stazione di Talkeetna Dan Sceldon ci attende e dopo aver caricato e scaricato i bagagli rizziamo le tende, il Primo campo e’ sorto.

Giovedì 15. Dopo 12 ore di sonno ci alziamo un po’ indolenziti non usi ai materassini pneumatici. Con Romano provo il primo tentativo di pesca il quale com’era naturale fallisce. Col treno arriva Riccardo, Luigino e Gianni Stocco.

Venerdì 16. La giornata è bella, iniziamo con un buon caffé e latte. La scrittura occupa gran parte della giornata. Faccio ancora qualche tentativo di pesca, ma finalmente riesco a capire che la colpa non è mia ma dell’acqua sporca.

Sabato 17. Mezza giornata l’abbiamo passata scrivendo cartoline e lettere alle famiglie.

Quando all’arrivo del treno non c’e’ pervenuto il gas, ci siamo molto preoccupati.

Consiglio di guerra. Partenza di Riccardo per Anchorage. Arrivo in serata tardi con tutto l’occorrente ed inizio i preparativi per la partenza.

Domenica 18.  Giornata d’emozione, alzato di buonora con relativi preparativi di partenza.

Partenza da Talkeetna alle ore 12 e mezzo con un piccolo piper e parecchio materiale.

Fino ai piedi della montagna il panorama dall’alto è il solito tipico alascano, fiumi foreste e radure, poi lo spettacolo si fa emozionante. L’apparecchio con dolci vibrate aggira le propaggini del Mc Kinley.

Puntando direttamente contro la montagna evita il vento poi con sicura manovra sfiora un colle per poi immergersi in un’altra valle tutta bianca fino all’atterraggio, vera specialità di questo pilota.  Ad attenderci c’era Riccardo con la macchina da presa (primo partito).

Una tenda mezza sgangherata è la prima vita sul ghiacciaio. Essendo l’ora avanzata perché arrivato alle 13 e tre quarti preparo il magro pranzo al capo e per me naturalmente: latte e caffé e pane valdostano, il migliore mangiare a detta di Riccardo.

Finito il pranzo se così vogliamo chiamarlo, procedo ai preparativi per piazzare la tenda e sistemare i vari colli; più tardi, bussole e carte alla mano, riusciamo a stabilire la posizione. Mentre Riccardo scrive gironzolo un po’ facendo fotografie. Attendiamo con ansia l’arrivo di Jack, verso le sette e mezzo si sente un piccolo ronzio poi più forte poi la piccola libellula gialla e rossa si fa vedere; il cuore si rallegra pensando che un altro essere viva quassù in mezzo ai ghiacci .

19 Lunedì. Scrivo l’ultima lettera ai miei e dopo i soliti preparativi parto con Jack verso il campo base. La salita è molto dura, è la prima camminata dopo parecchi giorni di poltroneria; si suda tremendamente e una malavoglia ci assale continuamente, ma dopo 5 ore di marcia ci siamo.  Partenza ore 10 arrivo alle 3. Un altro compito molto importante dobbiamo svolgere ossia recuperare i carichi che il Piper ha lanciato.

Ci mettiamo di buona voglia anche perché dobbiamo piantare la tenda. Dopo un’ora tutto è recuperato, ma la tenda non c’è. Non ci preoccupiamo molto e decidiamo di fare un igloo. L’idea ci pare la migliore.  Siamo stanchi morti, la faccia ci brucia, tutto il corpo è indolenzito per la sfacchinata fatta in salita, ma dopo due ore la casa è sorta, per la prima volta mi appresto a passare la notte in un igloo.

Martedì 20. Ho passato la prima notte in un igloo veramente bene, apro la porta nevica una fitta nebbia incombe su tutto il ghiacciaio, perdiamo ogni speranza che arrivi l’aeroplano, ma ci rassegniamo ormai le Alpi ci hanno temprato, che fare? Si parla del più e del meno si parla degli amici, delle cose di casa ed alla fine dove si va a finire? Naturalmente nelle donne. La conversazione come tutte le conversazioni di questo genere sono allettanti ed in quest’atmosfera ci addormentiamo. Al risveglio che succede?

Tutto il corpo è invaso da una dolce sensazione. Bum è scoppiata la bomba una gran risata coglie il fatto. Ormai si è fatto mezzogiorno usciamo a sistemare sacchi e casse prima poi all’igloo formiamo l’entrata a mo’ di tana per far sì che non entri l’aria. Rientriamo e dopo un breve pranzetto, il sonno ci coglie nuovamente questa è la vita di montagna quando c’e’ brutto tempo. L‘ultimo pranzetto lo facciamo a mezzanotte e dopo si dorme.

Mercoledì 21. Sveglia verso le 9 usciamo dalla tana come dei lupi e costatiamo che il tempo è migliorato, un pallido sole rischiara il ghiacciaio, decidiamo di fare asciugare la roba per non marcire. Quando tutto fu ben disteso ed un caldo sole asciuga tutta la biancheria. Dalla montagna che si trova alla nostra sinistra si stacca un’enorme valanga e dopo un momento nevica. Tutti i nostri indumenti sono bianchi, che fare? Prendiamo il fatto con filosofia ed aspettiamo che asciughi nuovamente. Frattanto Jack procede con il fornello e così attendiamo di pranzare. Il tempo si fa ancora brutto allora decidiamo di scendere al campo d’atterraggio. Mettiamo tutto il materiale nell’igloo e con mezzo salamino ciascuno c’incamminiamo; partiamo prima con difficoltà verso le 12 e mezzo per la fitta nebbia, poi ritroviamo le bandierine; con una veloce galoppata alle 16 siamo da Bob il compagno americano rimasto a custodia delle tende. Lo troviamo che tranquillamente sta mangiando la minestra e ti saluta con un allegro Ok. La conversazione e’ difficile perché noi non parliamo inglese e lui italiano, che fare? Mi corico in tenda e per la prima volta mi assale la malinconia. Un nodo mi serra la gola pensando alla bella Italia, ma basta un richiamo di Jack per avvertire che si vede la montagna e tutto passa.

Una leggera pastina e la cena è fatta. La nebbia riprende a salire fa freddo la migliore soluzione è quella di tirarsi in tenda a cuccia. E così è passata anche questa giornata.

Giovedì 22.  Ok! Questo è dormire non come nell’igloo dal fondo ghiacciato dove ad ogni mossa si scivola di qua e di là e alla mattina dolgono le ossa per l’umidità. Il tempo è ancora incerto anche per oggi ho paura che il Piper non arrivi. Sono le dieci e mezzo e non ho voglia di alzarmi, anche alzandomi cosa faccio? Preferisco rimanere in tenda a poltrire. I pensieri corrono lontano dove? In Italia precisamente ai Piani Resinelli alla cara Grignetta, alle Alpi, poi ritornano ancora qui. Verso mezzogiorno mi alzo, il tempo si schiarisce e tutto intorno riappaiono le montagne. Una bellissima idea sopraggiunge, decidiamo di scalarne una, il morale va alle stelle, si mangia volentieri poi si va subito in tenda a dormire perché l’idea è di attaccarla questa notte, in modo che essere di ritorno domattina, in caso che le nebbie basse se ne vadano ed arrivi il tanto desiderato aereo (più che una donna). Una buona cena precede la partenza poi via. Si parte alle 21.30 per attaccare il Monte Kahiltna Dome 10025 piedi. Dapprima scendiamo indi ricominciamo a salire il ghiacciaio dove passa la normale per il Mc Kinley. Il tempo sembra abbastanza buono le scariche hanno smesso di disturbarci e noi via col passo affrettato. Ci alziamo velocemente sebbene si affondi, dall’alto vediamo il nostro piccolo campo che pian piano sta scomparendo. Ora non si affonda più e la Marcia procede ancora più veloce, fa freddo e delle nuvole preoccupanti salgono dal Passo Kahiltna, giunti in prossimità decidiamo di ritornare frattanto anche le cime attorno si vanno coprendo. Giunti a metà discesa succede un altro fenomeno, il vento spazza le nubi, le montagne si aprono e finalmente la tanto sospirata parete Sud si fa vedere nella sua maestosità.

Ogni 100 metri ci fermiamo, la scrutiamo da cima a fondo e subito facciamo un giudizio “un bell’osso”. Alle due meno un quarto siamo di nuovo al campo, prendiamo dalla tenda il cannocchiale e costatiamo che i contrafforti della parete sono realmente verticali, speriamo che si possa raggirare. Dopo aver ammirato a lungo la parete in lungo e in largo, contenti per il ritorno del bel tempo ci corichiamo.

Venerdì 23. Sono le 10 e mezzo e un’opaca luce rischiara la tenda; meravigliato che non sia ancora arrivato nessuno apro la cerniera nevica! Che fare? Pensare? I nervi vanno a pezzi scendere non si può giacche distiamo una settimana di cammino, l’unica soluzione è quella di rimanere tranquilli ed aspettare. Ogni tanto sento il ronzio dell’aereo tendo l’orecchio…. E’ un’illusione! All’ora dell’appetito bisogna alzarsi perché contro lo stomaco ragion non vale. Ci rifugiamo nella tenda di Bob che è solo e prepariamo una buona minestra e come secondo prosciutto crudo di San Daniele, nel frattempo facciamo esercitazioni d’inglese ed italiano ma per noi è molto difficile apprendere questa lingua. Fra una storia e l’altra, ci coglie il sonno di conseguenza ritorniamo nella nostra reggia.

Verso le 18 ci svegliamo e per ammazzare il tempo chiacchieriamo sui maestri di sci.

Argomento che a Jack sta molto a cuore fino all’ora di cena che destiniamo ad ora tarda per passare più brevemente la notte. La cena è composta di latte, caffé, Ovomaltina e come secondo cacciatore di Canzo con formaggino Mio veramente squisito. Fuori fa molto freddo dentro si sta bene rannicchiati tutti e tre in una tenda, per rompere un poco l’atmosfera ci mettiamo a cantare canzoni vecchie e nuove, la cosa ha molto successo difatti arriva mezzanotte senza accorgerci. Il tempo è ancora brutto con un freddo rigido, di corsa ci ritiriamo nella nostra tenda e per scaldare la casa accendiamo una candela fino a quando ci coglie il sonno.

Sabato 24. Mi sveglio alle 5 e mezzo il tempo è bellissimo il Mc Kinley e tutte le montagne attorno sono stupende, sembrano di marmo cristallino. Il pensiero corre subito verso valle agli amici che oggi senz’altro arriveranno. E con questa convinzione mi addormento di nuovo dopo aver scattato un paio di foto. Ci alziamo alle nove e mezzo e dopo un po’ sentiamo il rumore dell’aeroplano lo scorgiamo nel cielo molto alto che gironzola, subito pensiamo a Dan Scheldon in ricognizione; difatti passata una mezz’ora riappare ed atterra: era solo. In fretta e furia mi carica sull’aereo per atterrare nell’igloo prendere il materiale lanciato e trasportarlo nel ghiacciaio di fianco, il volo è stato molto breve ma molto emozionante. Dall’alto si scorgevano tutti i crepacci ed una pista di lupo. Sembra quasi impossibile che quella bestia possa vivere quassù. L’atterraggio fu un poco a saltoni ma tutto bene, scatto alcune foto mentre il pilota rompe l’igloo, indica parte del materiale e parte. L’aereo corre sulla neve, ma non riesce ad alzarsi la situazione si fa grigia sembra d’essere a casa d’inverno, quando si aiutano le macchine a partire perché scivolano. Scarichiamo moltissimi bagagli e dopo mille tentativi riesce a decollare. Io rimango a custodia dell’igloo, così mi fa capire Dan, e devo pur rimanere a dormire; già penso alla solitudine ed al freddo che farà questa notte, pazienza in una spedizione capita di tutto comunque spero che il tempo rimanga bello. Risalgo nell’igloo faccio colazione giacche è arrivata l’una pomeridiana senza accorgermene. Il pranzo consiste in una scatola di frutta sciroppata molto semplice no? L’igloo si trova al centro di un anfiteatro circondato da scoscese pareti dalle quali arriva incessante il rombo delle valanghe, le valanghe sono molto più frequenti di giorno, che di notte. Il sole oggi è molto caldo di modo che le valanghe sono più continue è un vero bombardamento e la montagna si disfa del superfluo. Verso sera mi sistemo nell’igloo sperando di passare una buona notte, comunque e’ brutto essere soli in   montagna e non riesco a capire come facciano certi alpinisti a scalarle in solitaria. Ormai sono sette giorni che non vedo nessuno dei compagni che sono rimasti a Talkeetna, desidero tanto vederli per scambiare le reciproche avventure. Ma mi infilo nel sacco letto e cercherò di dormire.  Mentre sto addormentandomi sento di nuovo l’aereo, esco fuori, difatti fa tre o quattro giri poi se ne va di nuovo. Pazienza!

Domenica 25. Ok il tempo è molto bello è naturale oggi è festa, la notte è stata quasi tutta in bianco, è molto brutto essere soli; ogni mezz’ora o un’ora mi svegliavo, il sole rischiarava l ’iglou, le ore? E’ sempre presto non mi sono ancora abituato a non vedere tramontare il sole, verso mattina mi addormento sodo.

Sento una voce “sveglia che è ora”, tendo l’orecchio sono Jack e Bob e sono venuti quassù, provo una grande gioia mi portano buone nuove Riccardo, Gianni Stocco Armando Petrecca, Annibale, Luigino si trovano al campo d’atterraggio mentre Romano si trova nell’altro ghiacciaio ad attenderci.  Il compito della loro venuta? Secondo l’ordine di Riccardo risalire fino al colle dove ha inizio la nostra parete per vedere se vale la pena portare il materiale che si trova nell’igloo lassù, o invece riportarlo di nuovo in basso per essere riportato con l’aereo da Romano. In fretta esco dall’igloo di vestirsi non c’e’ bisogno giacche da quando sono quassù dormo vestito.  Fare colazione non se ne parla, mi pentirò dopo e via di corsa. La neve è molto buona così senza difficoltà giungiamo alla prima seraccata, un vero dedalo di Delfo, comincia una vera gincana di giri viziosi in mezzo a torri di ghiaccio che sembra vogliano caderci addosso da un momento all’altro. Lo spettacolo è magnifico la vista verso valle èstupenda la soddisfazione magna. Superata la suddetta marciamo su neve polverosa verso la seconda. Dimenticavo di dire che ci troviamo in una specie di strettoia in confronto all’immensità della montagna. Con molta fatica e madidi di sudore giungiamo alla seconda seraccata. La faccenda si fa più complicata, ma dopo l’impegno proseguiamo senza sosta ed in questa seraccata troviamo il punto più difficile che consiste in un ponte instabile che frana ad ogni passo; il tutto si risolve nel migliore dei modi e siamo fuori. Sulla nostra testa incombe l’enorme parete Sud, davanti un altro dolce pendio sembra sempre di essere arrivati e non si giunge mai la sete ci morde la gola, le labbra, benché spalmate di crema sono riarse, procediamo lentissimi, ogni tanto scoliamo qualche succo o lattina di birra il sollievo è momentaneo poi ricomincia di nuovo l’arsura. La marcia procede con i piedi di piombo ma prosegue per giungere alla terza seraccata dove procedo in testa a battere la pista e a cercare la via d’uscita, il cambio l’ho dato a Jack che conduceva dall’inizio. Finalmente esco anche da questa e mi trovo in un vasto catino all’altezza del colle. Sono le 14.30 e da 5 ore marciamo senza sosta, scattiamo varie foto finalmente capisco che la mia macchina fotografica non funziona. Arrabbiato per aver perso un’importante documentazione levo il rotolo e risistemo.  Iniziamo la discesa che ci porterà dagli amici alla vita. L’unico incidente si verifica nel famoso passaggio ed e’ Jack che ne fa le spese volando nel crepaccio, subito lo trattengo incidenti nessuno (una soprascarpa rotta), la marcia riprende veloce alle sei e un quarto siamo nell’igloo dove ci rifocilliamo e via di nuovo alla vita, in breve siamo degli amici ed una festosa accoglienza con liete novelle ci accoglie. Annibale, Luigino con Gianni Stocco, ripartono di nuovo con l’aereo per raggiungere Romano, invece noi cinque rimaniamo per risalire di nuovo all’igloo e riportare il materiale quaggiù avendo giudicato la via da noi aperta troppo difficile. Un buon sonno ci ristorerà per la nuova fatica.

Lunedì 26. La partenza si fa un po’ tardi una breve colazione e via, lungo la risalita Riccardo filma giunti a questo benedetto igloo incomincia di nuovo la parte da noi mai interpretata l’attore. Riccardo e’ alle prese con la cinepresa e due macchine foto attaccate al collo, sembra di essere in una grande metropoli dove i fotografi sono in cerca di motivi sensazionali. Finita l’operazione attore prepariamo il materiale su delle racchette alaskane che funzionano da slitte, noi siamo i famosi cani, ma queste invece di scivolare frenano. Iniziamo la discesa ma ahimé invece dei cani ci tocca fare i buoi; ogni 100 metri ci fermiamo a respirare per riprendere di nuovo; per fortuna c’è tormenta così si suda poco. Impieghiamo tutta la giornata per ripercorrere il tratto che impiegavamo un’ora. Al campo ci prepariamo una lauta cena c’è perfino una trota fresca presa da Riccardo mentre noi eravamo quassù. Con grande gioia ricevo due lettere e subito mi metto a scrivere notizie ai miei, verso mezzanotte a fine della giornata mi sembra di essere un condannato ai lavori forzati abituato a casa ad essere servito e svolgere il solito tran tran.

Martedì 27. Il tempo e’ bello e siamo di nuovo al campo sbagliato, impossibilitati di fare qualcosa di utile per la spedizione. In mancanza di questo mi esercito nell’arte culinaria preparando per mezzogiorno una pasta asciutta da fare invidia ai buongustai. I nostri compagni Bob e Armando vanno a cercare il materiale dei canadesi il quale è stato spazzato via da una valanga un mese fa. Verso le 14 ritornano sudati talmente tanto da sembrare dei pulcini bagnati sebbene abbiano ricevuto ordine da Cassin ritornano con parecchio materiale che consiste in viveri i quali lasciati sulla neve andrebbero senz’altro male e del materiale fotografico e personale che verrà riportato a Tacheetna da Scheldon. Dopo essersi abbeverati con birra il grande desiderio d’Armando, ed altre bevande, gustano moltissimo la pasta asciutta da me preparata anche fredda. Il pomeriggio viene impiegato facendo qualche lavoretto per ingannare il tempo; la fatica dei giorni scorsi e’ dimenticata. Verso le 19 Dan Scheldon arriva inatteso. Subito Riccardo decide di partire con lui prepariamo con Jack il suo sacco, cartella con i documenti e tutto il bazar che regna nella sua tenda perchè lui doveva scrivere una lettera da portare a valle. Il secondo viaggio e’ per Bob, il terzo e’ per Jack, il quarto per me, il quinto per Armando. Finalmente siamo tutti riuniti e varie sono le impressioni da scambiarci di modo che si fa molto tardi.

Mercoledì 28. Sono le 7, Riccardo da ’ la sveglia, fa un freddo cane, essendo abituato nell’altro  ghiacciaio che è molto soleggiato, mentre questo e’ incassato di modo che il sole arriva soltanto verso le 8 e sparisce all’incirca alle 18. La mattinata l’impieghiamo scattando ancora fotografie pubblicitarie e del film, ma il compito di questa giornata e’ andare all’altezza del colle per piantare finalmente il campo base.

Annibale e Romano se ne sono già andati mentre io m’appresto a partire con Luigino e Bob. Porto con me tutto il mio materiale personale e credo che il carico si aggiri sui 30 Kg. Una scoperta da poco!

Un forte sole riscalda tutto il ghiacciaio, la fatica e’ enorme ma proseguo. Luigino con il suo passo se ne va leggero non lo riprenderò più fino alla sosta che diverrà obbligatoria. Motivo di questa velocità? Si riscontra nel sacco e non voglio giudicare il peso…. Sono madido di sudore ma proseguo.

Nella seconda parte le soste si fanno più frequenti, finalmente dopo lunghi sospiri arriviamo alla tenda verde piantata da Annibale e Romano. Qui compagni mi hanno preparato una bella borraccia di chinotto che mi ha fatto molto piacere. La sosta e’ ancora breve, quindi lasciamo tutto il nostro materiale e risaliamo alla tenda più grande per trasportarla. Giunti su questo enorme plateau lo vediamo cosparso di piccoli puntini neri gialli, rossi, verdi cosa sono? Sono tende, sacchi, mentre il mio, come un asino, l’ho portato sulle spalle. Il tutto e’ stato lanciato da Dan Scheldon. Raccogliamo il materiale in un unico posto, si fa molto tardi sono le 14 e mezza nessuno di noi ha ancora ingoiato nulla tranne il bicchiere di chinotto in mattinata. Scendo alla tenda verde e preparo una buona pasta asciutta: pronta la divoriamo. Annibale scende di nuovo in basso noi rimaniamo alla tenda mentre gli altri risalgono a quella principale; noi al mattino trasporteremo questa tenda alla principale.

Stiamo dormendo, sentiamo una voce: anche “Lui“ e ’ giunto quassù. Penso al caldo del sacco letto e all’idea di dover uscire per aiutarlo, ma un secco:  ” fuori”, mi fa rabbrividire.

E’ molto arrabbiato con Gianni Stocco e Armando Petrecca i quali durante la salita lo hanno fatto tribolare. Risaliamo di nuovo da Luigino il quale si beffa molto di noi, raccogliamo il necessario e giù di nuovo a piantare le tende. L’ultimo lavoretto prima di riprendere il sonno sono due scodelle di latte per noi, l’altra è per Riccardo, finalmente il sonno ristoratore giunge brevemente. Dimenticavo di dire che sono giunti quassù anche Gianni Stocco e Armando Petrecca, tutti e due cotti come mele al forno. Fra l’altro Petrecca cade due volte nei vari ghiacciai.

Giovedì 29. Questa mattina dormiamo fino alle 9 e sono io a dare la sveglia, “presto” dice Riccardo “che dobbiamo scendere”. Con noi scendono definitivamente Petrecca e Stocco che e’ il tipico lazzarone romano, il quale ha avuto una forte discussione con Riccardo, mentre Armando, capito che non ha doti alpinistiche, se ne va anche lui. Siamo dispiaciuti per Armando che se ne vada perché è un bravo ragazzo volonteroso, mentre per l’altro siamo tutti contenti. Fin dal primo giorno ci riuscì antipatico. In breve siamo al campo d’atterraggio Riccardo, prepara la sua specialità: il risotto. Noi prepariamo i sacchi per ripartire. I due rimangono quieti quieti ad aspettare l’aereo che non arriverà per la risalita. Siamo in tre Riccardo. io e Jack, calziamo le racchette. Essendo l’ora tarda la neve si è fatta molto molle, in mano teniamo un mazzo di bandierine che distribuiremo durante la via. Ci incamminiamo, fino a più di metà strada conduce Riccardo, rinfrescati da bianca neve che cade copiosa, con il suo passo lento ed instancabile. Poi manda avanti me ma subito borbotta perché il passo è troppo lungo, rallento con monotonia raggiungiamo finalmente il campo base mentre i compagni ci hanno preparato una buona minestra. La serata, tanto per cambiare, la passiamo preparando un’altra minestra, vera specialità di Annibale e svolgendo i vari lavoretti di pulizia.

Venerdì 30. Il tempo è bellissimo l’alzata ancora tarda, il compito è quello di scendere al campo d’atterraggio per portare il carico al campo base. Un forte sole riscalda tutta la valle, e’ tipico su queste montagne sto fenomeno; quando c’è il sole la temperatura sale altissima.appena si abbassa si passa dai 5 ai 10 gradi sotto zero brevemente.

La chiara mattina non la sciupiamo giacche c’è molta luce procediamo alle foto con bandierine che appendiamo alla tenda grossa. Anch’io porto le mie, ma la più cara non la trovo, frugo in tutti i pacchetti non c’è, sono molto dispiaciuto (la bandierina dei Resinelli). Terminate le foto scendiamo di nuovo a prendere un carico, mangiamo laggiù così non dobbiamo portarlo in spalla. Al campo d’atterraggio, frugando nelle varie casse per preparare gli zaini attaccato ad una fila di moschettoni c’è la famosa bandierina: la bandiera dei Resinelli e della Grignetta. Siamo tutti contenti in modo particolare io e Annibale. Completato il carico risaliamo con normale andatura senza nessun incidente degno di nota meno che uno. Alla sosta di mezza strada ci fermiamo per bere qualcosa, c’ e ’ chi beve il fruttino e chi la birra, il capo vuol provare tutte e due ed invita Jack a lanciargli la scatola della birra ma cosa succede? La birra a questa altezza è molto gassosa di modo che oltretutto scossa che la apre, fa un bel bagno goloso. La risata è generale, in quest’atmosfera arriviamo alla tenda del campo base.

Sabato 1 Luglio. Il tempo è brutto di modo che i programmi di ieri sera sfumano. I compiti erano i seguenti: Riccardo, Luigino e Romano dovevano incominciare ad attrezzare il canale di ghiaccio fino al colle se mai parte della cresta, io, Annibale, Jack e Bob scendere di nuovo al campo d’atterraggio e portare di nuovo il carico. Dopo pranzo scendiamo tutti al campo d’atterraggio tranne Luigino che rimane a fare la pulizia. Pian piano scendiamo, arrivati alle tende troviamo Armando che sta cucinando, mentre l’altro lazzarone non si degna nemmeno d’uscire dalla tenda. Prepariamo il nostro sacco poi via di nuovo verso il campo base. Nevica e fa molto freddo e in meno di due ore siamo di nuovo alle tende. Un piccolo crampo indolenzisce la spalla di Bob il quale si ritira nella sua tenda massaggiato da Jack.

Domenica 2. Mezzogiorno è passato da mezz’ora e sono ancora a letto, gli altri o sono appena alzati o dormono. Il ritrovo è situato nella tenda grande che serve da cucina sala da pranzo e salotto, oggi è domenica e il riposo è assoluto. Per pranzo prepariamo una buona pasta al sugo, il secondo è vario, si beve birra e alla fine arriva una buona macedonia di frutta. Si parla del più e del meno ma è giusto quel proverbio che dice “con meno se ne fa con meno se ne farebbe” e si ritorna a letto; vengo svegliato da Riccardo che sembra la befana sotto quel po’ po’ di neve che scende copiosa. Egli mi invita a cacciar fuori la testa dalla tenda, è di nuovo alle prese con la cinepresa e macchina foto, si capisce che vuole riprendere una scena mentre nevica. Mi alzo per la seconda volta alle 19 e mezza per vedere se qualcuno ha preparato la cena o se devo prepararla io. Sono tra i primi di modo che prepariamo l’acqua, dopo interverrà Annibale, è lui il re della minestra. Qualche storiella rallegra la serata poi si va a cuccia.

Lunedì 3. Il tempo è abbastanza buono è tardi e dormiamo ancora. Le pareti che incombono su di noi sono tutte bianche, è impossibile affrontarle in queste condizioni. Il lavoro più grosso è quello di preparare da mangiare e mangiare. Per pranzo prepariamo un buon risotto bianco. Il tempo sembra si metta al buono, allora prepariamo del materiale, staffe cordini, corde moschettoni ecc. Mentre Riccardo scrive lettere noi frughiamo di qua e di là cercando leccornie da rosicchiare, qualcosa bisogna pur fare per ingannare il tempo. Verso sera il tempo si apre ed una maestosa visione ci appare: sembra di assistere ad un miraggio. Riccardo ne approfitta per ultimare le foto pubblicitarie ma non riesce a finire il lavoro e rimanda il tutto ad un’altra volta. La temperatura in un momento da 15 gradi sopra scende a 10 gradi sotto, ormai siamo allenati a questi sbalzi, non li sentiamo più però ci ritiriamo in tenda per finire la serata chiacchierando.

Martedì 4. Mi sono coricato con l’idea di partire quindi alzarsi presto. Verso le 7 mi sveglio, metto la testa fuori nevica! Deluso mi ritiro di nuovo cambio posizione e mi risveglio verso le 10 e mezzo dai rumori di Romano e Annibale. Fuori non nevica più, c’è un pallido sole, nella tenda fa un caldo infernale quindi è meglio svignarsela fuori. Un pallido sole mescolato con nevischio mi attendono. Queste giornate di brutto tempo sono tutte uguali, i lavori, i soliti: cucina pulizia storie varie e via dicendo. Nel pomeriggio scendiamo per un altro carico. Al campo d’atterraggio regna il solito disordine: pentole da una parte, fornello dall’altra, burro di qui, scatole di là, una vera esposizione da bazar; non si degnano nemmeno di riordinare un poco le cose che buttano all’aria. Come al solito sono in tenda, Armando esce per parlare un poco mentre l’altro di stirpe terronica non esce nemmeno dalla tenda, non si degna persino di rispondere al saluto rivoltogli da Luigino, è proprio vero: “la volpe perde il pelo ma non il vizio”. Ordinato il campo ognuno prepara il suo sacco, naturalmente il mio è tra i più pesanti, non mi sono ancora fatto furbo: imparerò a mie spese. La salita si fa sempre più veloce in meno di due ore siamo al campo base. Messo in ordine il materiale portato, preparo la minestra, indi aiutato da Riccardo apro una scatola di pollo novello con spinaci al burro, una vera leccornia! Sebbene il tempo sia molto variabile il morale è sempre alle stelle. Finita la cena le solite storielle precedono il letto. La temperatura è sempre dai 10 ai 15 sotto, ormai il callo è fatto e nessuno ci fa più caso. Siamo molto impazziti ad attaccare questa parete sud.

Mercoledì 5.  Il campo base e’stato posizionato ad un’altezza di 11.500 piedi pari a 3800 metri circa quasi alla fine del ghiacciaio Kahiltna Glacier, poco lontano dal colle d’attacco e sotto l’immensa parete sud est del Mc Kinley: si trova in mezzo a due enormi crepacci, è dotato di cinque tende, quattro per dormire e la grande per tutto. Il tempo è ancora incerto ma nel pomeriggio si decide di salire almeno sino al colle. Dopo mangiato partiamo in cinque: Riccardo, Annibale, Jack, Romano ed io. Luigino rimane a letto perché ha le labbra ammalate mentre Bob rimane a custodia delle tende. Riccardo parte in testa per alternarsi con Annibale. Il nostro compito è quello di allargare i gradini in modo tale che vi entrino due piedi con comodità. Il ghiaccio vivo rende faticosa l’operazione, pian piano saliamo ugualmente. Verso metà canale riprende ancora il fitto nevischio, continuiamo per tre, quattro, tiri di corda, indi desistiamo.

Scendiamo rapidamente fissando le corde che poi ci serviranno ancora per molte salite. E’ molto bello vedere dall’alto il campo, i crepacci con le montagne piene di seracchi che ci fanno continuamente trasalire.  Luigino e Bob ci attendono con del buon tè caldo e parecchia aranciata, il che fa molto piacere a degli assetati come noi.

Giovedì 6. Il tempo è bello ma prima delle 10 non riusciamo a partire. Siamo sempre in cinque, io, Jack Riccardo, Annibale, Romano; oggi tocca a noi fare strada, dapprima le corde fisse ci facilitano moltissimo la salita giunti al termine comincia il tosto. Alternati su ghiaccio e roccia giungiamo ai due tiri famosi e più duri: il primo lo fa Jack; nevica fa molto freddo, senza guanti le mani gelano bisogna proseguire, quello che provò Jack non lo posso descrivere lo leggerete dal suo diario. Mentre stavo preparando la fermata un blocco di ghiaccio vola giù per il camino colpendo il Capo ad un braccio. Una filastrocca di imprecazioni e di titoli al povero Jack che, non avendo nessuna colpa, stava facendo solo il suo lavoro, lo raggiunsero demoralizzandolo non da poco. Tutti e cinque ci riuniamo assieme per evitare così eventuali scariche di sassi. Parto dapprima su neve e ghiaccio indi raggiungo la roccia, mi trovo  su rocce malsicure ingombre di neve fresca, pianto un solito chiodo sotto un fitto nevischio con le mani indolenzite dal freddo, mi alzo di nuovo alcuni metri, pianto un altro chiodo, ripulisco con il martello gli appoggi, le ore passano e non mi rendo conto; pian piano mi alzo di nuovo, mi sembra di essere su delle uova tanto la zona è marcia, pianto un altro chiodo, levo i ramponi perché ora dovrò superare prima una placca poi uno strapiombo. Il tempo intanto si schiarisce sembra mi voglia venire incontro, pian piano affronto la paretina e la passo, sono allo strapiombo lo scruto, lo studio per bene e lo supero, mi trovo in un canalino di neve fresca, sono al colle. Un caldo sole mi riscalda ma sono già caldo per la gioia. Recupero tutti i compagni intirizziti dalla lunga attesa, e si riscalderanno anche loro al sole. Davanti c’e’ ancora da superare una placca e vedere se si può continuare, ardo dal desiderio di affrontarla, ora è roccia pura, mi alzo alcuni metri, metto un chiodo, un altro non è sicuro, mi sposto leggermente a sinistra, ne picchio un altro anche questo non è sicuro, appigli non ce ne sono, finalmente dal basso Riccardo vede una fessurina che io non posso vedere, pianto un altro chiodino ed è quello buono. Sciolto, procedo per dieci metri in libera. Lo sguardo si innalza, niente di buono per proseguire, mentre Riccardo si sposta a sinistra per cercare la via d’uscita, cerco uno spuntone per collocare il cordino per la doppia, trovatolo il resto è facile e sono dai compagni. Riccardo e Romano ritornano con l’illusione che la via vada di là. Iniziamo la discesa fissando le corde fisse alle 10 siamo in tenda dopo aver sentito i soliti moccoli del capo. E siamo stanchi morti.

Venerdì 7. Riccardo ci dà la sveglia alle 7 e mezza, è una voce sonora che ci riporta alla realtà. Le ossa mi dolgono, il tempo è bello e bisogna andare. Partiamo una mezz’ora prima di ieri, Riccardo si ferma alla crepa terminale per filmare di modo che siamo al punto di ieri. Mentre saliamo il canale vediamo Scheldon atterrare per portare a Tacheetna i due soci della birra. Il sole ci brucia; questa montagna è fatta così o troppo caldo o troppo freddo ma in due ore e mezza siamo al colle. Quest’oggi siamo in sei c’è anche Bob che sale bene su ghiaccio, un poco scarso su roccia, dal colle parte Romano e Annibale, scendono un pochino per poi risalire un masso. Una traversata di cinque metri ci porta ad un altro masso; il tempo da bellissimo si è fatto brutto, la nebbia ci avvolge e nevica. Sembra di essere sulla Nord dell’Eiger sono le scariche che con cupo rumore ci riportano alla realtà. Proseguiamo sempre su difficoltà assai forti e miste, il ghiaccio è verde, mi getto in un obliquo nella speranza di trovare un canale di neve di modo che si riesca ad aggirare la prima torre. Giunto sullo spigolo non si riesce ad entrare, tentiamo di risalire sempre sperando. Gridiamo a Riccardo che si era fermato indietro con Bob di ritornare indietro, di proseguire per lui era inutile. Annibale leva i ramponi e sale per quaranta metri su granito bellissimo da vedersi ma un poco marcio, Romano invece sale con i ramponi e noi lo imitiamo. Riprende il comando Romano su terreno misto per circa ottanta metri giuntovi con amara delusione constata che la salita è impossibile, peccato perché in quel punto si poteva piantare anche la tenda. L’unica soluzione è quella di tornare. Scendiamo a corda doppia le placche di granito invece il traverso lo facciamo di nuovo per levare i chiodi. Giunti alla prima traversata lasciamo il materiale sotto il masso assieme a quello di Riccardo e Bob. Per la traversata fissiamo una corda di sessanta metri, prevediamo di ritornare ancora per tentare la sortita più direttamente. In breve raggiungiamo il colletto e siamo molto contenti di non avere con noi il capo che brontola e scende piano piano, poi siamo al campo base.

Sabato 8. Mi sveglio verso le 7 sento già la voce di Annibale e di Romano, chiamo Jack ma facciamo finta di niente. Le ossa ci dolgono, il calduccio ci assopisce ancora maggiormente aspettiamo che qualcuno ci dia la sveglia, nessuno si fa vivo per il momento poi arriva Riccardo con una bellissima proposta ci lascia a letto a riposare, salire tutti è inutile non sapendo dove andare, domani riposeranno loro. Prima di congedarci ci fa parecchie raccomandazioni da osservare lungo la giornata. Dormiamo pacificamente tutta la mattinata verso mezzogiorno ci alziamo a svolgere i compiti impostici, smontiamo la tenda grande per sistemare il fondo e riordinare un poco tutto il contenuto, il lavoro si fa lungo, lo stomaco brontola ma prima vogliamo finire tutto. Verso le 14 e mezza abbiamo finito possiamo accontentare lo stomaco. Il resto del pomeriggio lo passiamo sistemando scarpe, guanti, acqua ed il materiale da trasportare domani; verso le 20 e trenta arrivano i tre che sono andati ad esplorare, dalla faccia si capisce che non c’è niente di buono: le parole lo confermano. Si sono alzati diretti lungo la bastionata fino a quando un tetto ha sbarrato loro la strada: sono molto demoralizzati specialmente Riccardo ma a dire il vero siamo a terra anche noi. Domani partiremo noi per ritornare sulla strada aperta da Romano e Annibale per giungere al Nido di Rondine. Così abbiamo battezzato questo posto; Romano aveva desistito trovandosi davanti difficoltà enormi.

Domenica 9. Ci alziamo di buonora, sono le 6 con molto desiderio di salire. Una breve colazione e via   su per il canale: siamo in tre io Jack ed anche il famoso Luigino che è alla prima uscita. In meno di due ore siamo al colletto dove soffia un vento cane, appena passato tutto cessa e si sta molto bene. Attraversiamo tutta la bastionata indi risaliamo fino al Nido di Rondine. In alto c’è un diedro da vincere con chiodi ad espansione, in basso un tetro canale. Nessuno dei tre sa prendere una decisione cosa fare? Il diedro? Scendere il canale? Ragioniamo parecchio, io sono decisamente per il canale e finalmente Jack si decide a scendere, dopo un breve tratto ritorna senza convinzioni e guarda sempre più il diedro. Scendo io per vedere, in centro canale c’è uno strapiombo di ghiaccio però sulla sinistra si può aggirare, risalgo con molta fatica, mangiamo qualcosa. Jack con molta decisione pianta un chiodo per attaccare il diedro, tutto ad un colpo ridiscende nel canale: sono contento! Ridiscendo a mia volta, l’ambiente è oscuro, ghiaccio vivo da tutte le parti, bisogna attraversare il canale che è breve e risalirlo sulla parte sinistra. Jack incomincia il lavoro di piccozza schegge di color madreperla schizzando volano giù in cerca della crepaccia dove infilarsi. Il lavoro è lento ma prosegue; la breve attraversata conduce a delle roccette miste con ghiaccio, Jack le risale per una decina di metri e fa fermata, lo raggiungo e proseguo a mia volta. Attraverso sempre su misto per una quindicina di metri, raggiungo una strozzatura di roccia, pianto un chiodo e con molta fatica la vinco, procedo ancora per dieci metri e faccio fermata.

Sono all’altezza del Nido di Rondine, Luigino scatta alcune foto ma temo che non sia uscito niente giacché la nebbia ci avvolgeva. Jack mi raggiunge e parte, un canalino di ghiaccio, vintolo si trova sopra lo strapiombo di ghiaccio in centro canale. Continuamente sia io che Luigino lo perseguitiamo con la solita domanda vedi il colletto? La nebbia avvolge tutto, la risposta è sempre negativa, risalgo anch’io per vedere ma la nebbia non mi accontenta. Uno sguardo all’orologio sono le 6 e nevica fitto, decidiamo di non proseguire ma ridiscendere in fretta ed attrezzare tutta la strada; mettiamo una prima corda di

Sessanta   metri che raggiunge l’altra che scende dal Nido di Rondine, la collego m’attacco alle staffe appese alla suddetta corda, supero così i due piccoli tetti con moltissima fatica m’attacco ad un’altra corda buttatami da Luigino e comincio ad incidere scalini nel ghiaccio verde lucido in modo da facilitare la discesa e la salita e sono da Luigino lo trovo intirizzito dal freddo. Recupero Jack fisso un’altra corda e Luigino si infila giù. Lo seguo per quaranta metri ci ritroviamo tutti e tre sessanta metri più in basso dove la corda finisce su di un piccolo ballatoio, nevica fitto i fiocchi sono portati di qua e di là, sembra di vedere quelle foto sul Ragno Bianco, mi slego da una corda, Luigino scende con la sicura di Jack fino all’altra fermata, subito lo raggiungo. Ora attraversiamo per quaranta metri, raggiungiamo un altro chiodo e visto che con la corda che ci rimaneva avremmo raggiunto il sasso dove c’era fissata la corda che porta al colletto, la fissiamo e giù. La neve che scende a contatto della roccia si scioglie formando numerosi rivoletti. Ci infiliamo tutti e tre sulla traversata che porta al colletto e lo raggiungiamo per infilarci di nuovo nel canale che scende al Campo base. Arriviamo al campo in mezzo ad un turbinare di vento e neve, Riccardo ci accoglie festoso scattandoci alcune foto a sua detta interessanti, siamo molto contenti di aver trovato finalmente la strada e raccontiamo tutto agli amici. Riccardo pronostica per domani chi deve partire: ad Annibale dolgono tremendamente gli occhi, Romano ha le mani con l’infezione, Luigino non va bene perché è appena tornato, Riccardo deve scrivere; morale ci tocca ripartire di nuovo con un altro compagno Bob.

Lunedì 10. Per tutta la notte soffia un vento fortissimo verso mattina si fa ancora più forte, speriamo che Riccardo non ci dia la sveglia ma verso le 8 ci fa alzare. Partiamo in tre io, Jack e Bob. Soffia un vento terribile fino al colletto, passatolo cessa tutto.  Alle 12 e mezza siamo al Nido di Rondine, mangiamo un boccone e giù per il canale e risalirlo di nuovo fino al limite di ieri e proseguire. Il primo tiro l’affronta Jack, il lavoro di piccozza è di giornata, lavine di neve farinosa ci investono continuamente, il freddo assale presto i piedi ma continuiamo. Sfilata la corda raggiungiamo Jack poi proseguo io su neve buona il che ci fa meraviglia essendo la prima volta che troviamo queste condizioni. Finita la corda pianto un solido chiodo da ghiaccio e recupero i compagni. Mentre faccio questa operazione, trovandomi in centro canale la neve che scende continuamente dall’alto si accumula arrivandomi alla cintola, quindi mi scanso per far posto  a dell’altra. Il tiro che prosegue lo fa Bob sempre in queste condizioni, siamo un poco preoccupati per il modo ortodosso con cui sale. Ci troviamo in un inferno bianco, freddo, turbine di neve, il colle è ancora alto, vogliamo raggiungerlo a tutti costi. Prosegue Jack in condizioni mutate ancora in peggio. La fermata è lunga, pezzi di ghiaccio e neve fresca ci investono, sopportiamo…. Ancora un tiro di corda ci separa dal Colle del Sospiro (così chiamato da noi). Proseguo prima su ghiaccio poi su misto la mia passione. Il sole riappare scaldandoci un poco, alle 19 circa siamo tutti e tre al colle. Posiamo il materiale che abbiamo portato, mangiamo una scatola di frutta e cominciamo ad affrontare la discesa; sono le 19 e trenta, accompagnati dal sole raggiungiamo il punto massimo raggiunto ieri. Qui si scatena di nuovo l’inferno, raffiche di neve arrivano da tutte le parti, mi trovo incastrato in un camino non capisco più niente aspetto che le folate passino per orizzontarmi, riprendo ancora a scendere arrivato alla corda che scende dal Nido di Rondine mi aggrappo con forza alle staffe, sbuffando sono al Nido di Rondine dove la situazione è cambiata, recupero i compagni. Scendiamo di nuovo su corde fisse, il vento soffia sempre, però non c’e’ la neve che penetra nelle ossa. Finalmente siamo al colletto, il campo sta sotto di noi piccino piccino scendiamo a tutta birra. Dal Colletto del Sospiro in due ore e mezza siamo al campo base. Il vento soffia fortissimo, nel momento che giungiamo noi vediamo la nostra tenda stramazzare, il vento ha rotto l’asta portante i tre pezzi, subito i compagni la ripristinano. Bagnati ci rifugiamo nel calduccio della tenda assaporando un’ottima minestra. Tiriamo tardi perché domani possiamo dormire: che bello! E’ mezzanotte quando la tenda ci riceve, il vento soffia sempre fortissimo, sembra che da un momento all’altro spazzi via la tenda e questa musica dura tutta la notte.

Martedì 11. Il tempo è variabile come tutti i giorni, bello al mattino, nuvoloso o brutto il pomeriggio, il vento però non soffia più: aggiustare la traversale della tenda grande rotta dal vento questa notte, spostare le nostre tende, lavoro che non faremo. Ci svegliamo alle 11 per alzarci, il lavoro ci fa nausea è la stanchezza? E’ la quota? Ripariamo la tenda grande ripulendola e lavando le stoviglie. Bob consegna due biglietti a Romano. Uno per lui dicendo che ritorna a Tahlkeetna per difficoltà di lingua durante l’arrampicata e per mancanza di tempo, perché il giorno 22 deve riprendere il lavoro e per quella data non prevede di ritornare, il secondo per Riccardo e scende al campo d’atterraggio dopo averci salutato ed augurato buona fortuna. I soliti lavori ci occupano il pomeriggio: scarpe da lucidare ed ingrassare roba da fare asciugare e cene da preparare per tutti, diario da scrivere. Attendiamo il ritorno con ansia dei compagni per sapere da loro notizie della giornata. Si fa molto tardi e non arrivano. Alle 23 e trenta non li attendiamo altrimenti domani mattina è grigia, verso mezzanotte li sento arrivare ma continuo a dormire.

Mercoledì 12. Mi sveglio alle 6 e sento Riccardo che chiama “Romano, Romano, Romano” risponde, avverto Jack che è ora di alzarsi, non ne abbiamo voglia ci sentiamo stanchi il dovere ci chiama e ci alziamo. Da Riccardo apprendiamo che ieri si sono alzati di poco il morale scende rapidamente. Risaliamo il canale lentamente, discutiamo le pochissime probabilità di riuscita impieghiamo più di due ore a risalire sino al colle dove ci carichiamo una tenda per alta quota. Il tempo è bellissimo rimarrà per tutta la giornata, è la prima volta dacché abbiamo attaccato questa via che fa bello tutto il giorno. Con molta fatica alle 12 raggiungiamo il Nido di Rondine, i muscoli cominciano a sciogliersi, ci infiliamo nel canale. Romano, è la prima volta che passa da qui, rimane stupito per tanta arditezza che abbiamo superato e del tetro ambiente; risaliamo con più energia questo ripido canale; ogni tanto scattiamo fotografie, in due ore arriviamo al colle del primo campo, depositiamo i sacchi, un grande desiderio ci spinge fino al limite raggiunto da Annibale. In una mezz’oretta raggiungiamo una cresta nevosa che conduce al nevaio, qui le tracce finiscono. Il Mc Kinley ci appare vicinissimo ed il morale ritorna a salire. Scendiamo fino al colle e prepariamo lo spiazzo dove issarvi la tenda. Lavoriamo sodo per un po’ di tempo ed il primo campo è sorto, lo prendiamo di mira con macchine foto e cinepresa, poi ci infiliamo dentro tutti e tre. Lo spazio è molto ridotto, ci sistemiamo alla meglio. Presto fa un caldo infernale, leviamo calze, duvé, sacco letto, in questo modo pigiati l’un contro l’altro passiamo la notte.

Giovedì 13. La notte l’ho passata abbastanza bene un po’ pigiato ma quassù basta essere coperti e tutto va bene. Il tempo è bello, il sole un poco offuscato riscalda, prepariamo una bella scodella di Ovomaltina ce ci risana la gola assetata; incominciamo di nuovo una dura giornata, risaliamo nuovamente fino al punto raggiunto ieri, da qui ha inizio una affilatissima cresta di neve immacolata. Procediamo su neve poco stabile, sul versante del ghiacciaio Kalitna est una vertiginosa parete sta sotto di noi, il nevaio sembra di toccarlo con le mani ed è lontano ancora. Ora ci troviamo sul filo della lama un piede di qua e l’altro di là, per proseguire sia da una parte che dall’altra Le due pareti si inabissano fino ai sottostanti ghiacciai. Questa faticosa avanzata dura circa 4 ore, quando la cresta forma cornice bisogna abbatterla ed è Jack il battitore, quest’oggi si trova in ottima forma. Siamo al nevaio, finalmente possiamo goderci un poco di sosta su di un ripiano, beviamo due succhi di frutta ed un sorso di Ovolmatina e via di nuovo, per vedere se è possibile superare il seracco che taglia tutta la parete del grande nevaio. Progrediamo lentamente siamo molto stanchi e l’altezza si fa sentire, stiamo superando i 5.000 metri. Giunti sotto il crepaccio lo percorriamo verso sinistra perché si restringe di più, infatti troviamo un passaggio dove il saracco è meno strapiombante e più corto da superare ma rimandiamo a domani affrontarlo. Sono passate le 16 e iniziamo la discesa su quell’orribile cresta quanto affascinante, è la prima volta che mi trovo su questo terreno a dire il vero lo preferisco dalla calda roccia. Alle 18 arriviamo al primo campo dove troviamo Riccardo, Luigino e Annibale. Facciamo una breve relazione poi scendono di nuovo al campo base portando con loro anche Romano    di modo che restiamo nuovamente noi due, io e Jack; il compito da svolgere domani è quello di portare sul nevaio una tenda, superare il seracco e se è possibile giungere fino alla fine del nevaio. Prepariamo una sostenuta cena poi ci infiliamo in tenda a cuccia, domani un’altra dura giornata ci attende. Buona notte!

Venerdì 14. Alzata verso le 7.30 il tempo è bellissimo e questa giornata è l’unica delle ventisei trascorse su questa montagna senza nebbia o nubi. I preparativi ci rubano la solita ora, una forte Ovomaltina con zucchero e miele ci dà la carica: partiamo. I primi passi sono duri, i muscoli freddi non obbediscono, man mano che si sale si sciolgono e rispondono normalmente. Superiamo i tiri fatti da Annibale indi prendiamo l’aerea cresta di neve. La neve è molto dura rende più facile la marcia in due ore siamo all’attacco del nevaio, prepariamo il secondo campo la solita tendina d’alta quota, mangiamo un paio di scatole con frutta sciroppata e partenza di nuovo. Quassù l’altezza comincia a farsi sentire, ogni passo costa fatica, il sole picchia forte sembra voglia arrostirci, lentamente riprendiamo il passo per arrivare all’ostacolo e superare il seracco che avevamo notato ieri. Jack parte all’attacco, parecchi sono i tentativi di innalzarsi. Prima conficco un paletto, si alza un poco, conficco un altro chiodo sulla sinistra, poi un altro sulla destra, prova un’altra soluzione ma cede, gli passo un altro paletto e questo risolve tutto attaccandogli una staffa. Per superare questi quattro o cinque metri ha impiegato più di venti minuti. Lo raggiungo e passo in testa a gradinare per una ventina di metri poi si affonda nella neve molle fino a mezza gamba; dividiamo a turno questa enorme fatica, in compenso la vista è meravigliosa a destra a sinistra montagne, montagne a perdita d’occhio. Credo che un alpinista in due vite non riesca a scalarle tutte, arriviamo a superare la crepa terminale sempre nella neve molle anzi marcia dal cocente sole per poi riprendere in alto le rocce. Dal secondo tiro della crepa terminale oltre allo stupendo paesaggio di montagne possiamo ammirare il campo d’atterraggio, due puntini neri, il campo base è più distinto e notiamo anche che la nostra tenda è stata levata. Proseguo ancora per una filata di corda, recupero Jack, uno sguardo all’orologio ci fa capire che è ora di ritornare, sono le 18.30, scendo fissando il cordino per quaranta metri tale è la sua lunghezza, Jack mi raggiunge e scendiamo sempre assicurati l’uno all’altro fino alla crepaccia terminale perché la neve molle è pericolosa, da qui in giù fino al secondo campo scendiamo in conserva. Il sole sta calando gli ultimi raggi tingono la piccola tenda di un rosso vivo sembra che sia viva. Una breve filmata e giù di nuovo per la cresta affilata; dapprima è in buone condizioni poi diventa pericolosa sempre a causa della neve molle. Alle 20.30 siamo al primo campo. Troviamo due tende Pamir piazzate gli autori? Annibale e Romano, un concitato scambio di domande rompe la monotonia della discesa, noi abbiamo nuove dall’alto loro dal basso. Intanto che preparo la cena raccontiamo i progressi fatti, loro ci raccontano varie storielle successe al basso che qui non posso scrivere. Facciamo una breve relazione del materiale usato e di quello che occorrerà domani, poi il letto ci attende. Io e   Jack possiamo restare alzati ancora un pò perché domani il nostro compito è quello di scendere al   campo base, quindi possiamo riposare mentre loro devono salire e la differenza è notevole.

Sabato 15. Il tempo è bello in alto mentre in basso avanzano enormi cavalloni bianchi che lasciano poco sperare. Sentiamo Annibale e Romano che si alzano, noi ci voltiamo dall’altra parte questo è delizioso. Rimaniamo in tenda fino a mezzogiorno, un breve spuntino e giù per il canale. Fa molto caldo scorre acqua a rivoli ed è pericoloso scendere veloci anche se ci sono le corde fisse. Arrivati in pari al Nido di Rondine scorgo Riccardo e Luigino che salgono, scendiamo ancora sino in fondo al canale, qui mi tocca ripristinare i gradini per attraversarlo, attraversatolo il medesimo lavoro lo faccio in salita fino al Nido di Rondine. Al Nido di Rondine, Riccardo e Luigino ci aspettano. Riccardo e’ molto affaticato mi sembra una pera cotta, Luigino è molto vicino, ci dicono che ieri dal campo d’atterraggio ci hanno visto per tutta la salita con il cannocchiale, rimaniamo male perché volevamo fare una sorpresa, un breve saluto e riprendiamo la discesa. Giunti al colle lasciamo la piccozza come al solito e riprendiamo la discesa, giunti a metà canale non troviamo più le corde fisse, ci meravigliamo moltissimo che Riccardo non ci abbia avvertiti. Piovono sassi da tutte le parti è molto pericoloso, giuntiamo la nostra corda per poi scendere slegati senza piccozza. Più in basso ricominciano le corde fisse. La nebbia ci avvolge non si possono più vedere i sassi da che parte vengono, per due volte li vedo passarmi in fianco, la paura fa aumentare la velocità e in quattro salti siamo al campo base dove troviamo un gran disordine. Per prima cosa scoliamo parecchie scatole di birra poi ci rimpinziamo ben bene del resto. La tenda ci aspetta presto per essere freschi e riposati al mattino.

Domenica 16. Il tempo si è volto al brutto ci alziamo di buon ora sono le 6.30 per partire alle 8. Durante la salita al colle mettiamo un cordino di 4 mm. Al posto delle corde che mancano, leviamo pure la corda di 60 metri e mettiamo ancora del cordino, al Nido di Rondine un rumore mi fa volgere lo sguardo nel canale, in fianco vedo Romano e Annibale che scendono. Ci portano buone nuove sono arrivati sui 6000 metri, la notizia ci riempie il cuore di soddisfazione, al Nido ci danno ragguagli più precisi siamo più contenti ancora. Riprendiamo con maggior lena la salita mentre loro scendono al colle a prendere altri viveri. In breve siamo al primo campo prepariamo dell’acqua per Annibale e Romano e attendiamo il loro ritorno. Nevica, i due amici arrivano alle 14.30 piazziamo una tendina e ci ritiriamo in quella grande perché la neve che scende è molto bagnata. Riprendiamo il lavoro dei fornelli e ci prepariamo un buon pranzetto. Sebbene nella nostra tenda in quattro ci si stia male, resistiamo parecchio chiacchierando della possibilità di vittoria, del ritorno in Italia: il come farlo se via aerea o via mare, degli amici che sono al secondo campo. Quando si è quattro, di argomenti se ne trovano sempre per svolgere una conversazione Alle 21 ci sistemiamo ognuno nella nostra tenda. Rimango sveglio fino a mezzanotte a causa di Jack che russa come un dannato, non ci sono fischi né pernacchie che lo riportino al giusto sonno, svegliarlo completamente mi rincresce. Finalmente mi addormento, anche se russa il mio sonno non è leggero.

Lunedì 17. Il tempo è brutto, nevica, non sappiamo se alzarci e partire o se rimanere al primo campo a oziare: c’è una differenza: qui ci sono viveri in abbondanza in alto bisogna portarli come contropartita, se viene il bel tempo si può proseguire veloci, mentre qui ci si può morsicare solo le unghie. Vedremo. Annibale e Romano vengono nella nostra tenda essendo più grande della loro. Cantiamo canzoni, Romano ha portato l’armonica a fiato, la musica solleva i cuori e regna allegria, siamo in piena euforia di canti quando sentiamo dei rumori, sono Riccardo e Luigino che sono scesi al secondo campo per prendere i viveri. Il tempo è sempre brutto, ci ritiriamo tutti e sei nella nostra tenda, siamo molto stretti ma pazienza. Nel pomeriggio dal sasso che protegge la nostra tenda comincia a sciogliersi la neve, gocciolando arriva sulla tenda penetrando nell’interno di modo che non troviamo più posto asciutto dove stare.  Verso sera il tempo finalmente si apre, partiamo tutti per il secondo campo. Alle 21 lo raggiungiamo piazziamo le due tende e passiamo la notte.

Martedì 18. Il tempo è bello, prepariamo tutto per la partenza al terzo campo. Il sole sgela gli indumenti e noi compresi. Portiamo nello zaino tutto il necessario per circa tre giorni ed il peso è notevole. Il sole ci martella, la fatica è molta sia per il sole sia per l’altezza ed il peso. L’andatura nella prima parte è veloce poi la fatica si fa sentire sempre più. Alle 17 arriviamo al posto più alto raggiunto da Annibale e Romano, qui essendo il posto adatto, piazziamo le due tendine di alta quota. La vista è meravigliosa molte montagne sono sotto di noi segno che siamo molto alti. Una buona cena e a letto; domani ci sarà da lavorare sodo.

Mercoledì 19. Terzo campo, ci alziamo alle 7 ed è sempre Riccardo che ci dà la sveglia. Il tempo è abbastanza buono, appena sotto di noi le nubi ondeggiano scosse dal vento, ad intervalli ci raggiungono e ci sorpassano. Alle 9 Annibale parte in testa, io guido la seconda cordata composta da me, Riccardo e Jack, arrampichiamo tutti assieme finché un camino ci sbarra la via, il superarlo ci ruba parecchio tempo. Superatolo procediamo in diagonale verso sinistra per raggiungere un canale di neve buona, il quale ci porta ad un dolce pendio di neve. La fatica si fa sentire si affonda nella neve molle. Giunti in cima a questo pendio una bastionata di rocce sbarra nuovamente la salita. Soffia un fortissimo vento, ci infiliamo duvè, una scatola di frutta sciroppata ci solleva lo stomaco. Attraversiamo sempre verso sinistra per raggirare la bastionata e dopo alcune ore sbuchiamo in un canale di neve, la cima sembra lì a portata di mano ed è ancora presto. Lasciamo tutto il materiale che cresce e ci leghiamo in tre ad una corda: Jack incomincia a salire lungo il pendio gelato, il vento soffia sempre più forte, la fatica è in costante aumento. Giunti a metà canale Jack non ne può più, passo in testa a condurre. Procedo sempre nel canale fin quasi al suo termine, poi mi porto sulla destra e riprendo ancora il filo della cresta. Qualcosa in me non va, è l’inizio della crisi che durerà sino alla vetta, il fiato è pesante, ogni tanto barcollo, sembro sbronzo, procedo ancora in queste condizioni per alcuni tiri poi do le dimissioni. Jack non se la sente più, le fatiche passate più degli altri si fanno sentire, passano in testa Romano e Annibale, si alterneranno loro fino alla vetta, la vetta che sembrava lì a portata di mano sembra che si alzi sempre più. Sono in piena crisi,

faccio alcuni passi, poi devo fermarmi a tirare fiato, un grande desiderio mi dice di sedermi e di aspettare il ritorno, ma il desiderio di continuare è più forte, mi da ancora forza. Con questa sequenza di soste raggiungo anch’io la vetta, sono le 23; non si possono più fare foto, peccato: abbiamo portato fin quassù, inutilmente, rullini, macchine fotografiche e cineprese.   Leghiamo le bandierine ad un chiodo, un abbraccio, qualche lacrima di commozione e giù verso il terzo campo. Sebbene in Alaska sia sempre giorno in quel periodo, e noi essendo in alto dovremmo essere avvantaggiati, invece ci si vede poco, il tempo si è fatto ancora più brutto, il vento soffia fortissimo, siamo tutti gelati, la barba è bianca di ghiaccioli, i piedi si vanno scaldando, man mano che scendo la crisi è passata. Ora tocca a Jack, sta molto male, vomita è colto da capogiri, vola parecchie volte. Riccardo è sempre pronto a tenerlo. Finalmente raggiungiamo il posto dove abbiamo lasciato il materiale, ci dividiamo; Jack passa con Annibale e Romano, Luigino con noi ed iniziamo di nuovo la discesa accompagnati da raffiche di neve e di vento gelido. Raggiungiamo il terzo campo alle 6, sono circa ventitrè ore che siamo in ballo; siamo sfiniti, le tende ci danno ristoro.

Giovedì 20. Il tempo è sempre bruttissimo, si è scatenato una paurosa tormenta. Nella tenda troviamo Jack che sta massaggiando i piedi congelati, entriamo anche noi, Riccardo comincia a massaggiarglieli. Jack è molto preoccupato, pensa continuamente il peggio e si lamenta, noi lo consoliamo invano. La sete ci arde gola, lingua, tutto è impastato, ora possiamo pensare anche a lei, il fornello bluette fa crepitare la sua fiamma, gli occhi brillano alla vista dell’acqua, acqua, acqua. Il tempo fuori è sempre brutto. Riccardo fa un tentativo per scendere ma desiste e si ritira di nuovo, rimaniamo trenta ore in tenda impossibilitati.

Venerdì 21. Il tempo è sempre brutto, la tormenta è inclemente, Romano si lamenta per i suoi piedi, Riccardo pure. Un grosso problema dobbiamo risolvere: scendere. Io devo dare le mie scarpe a Jack in quanto non può più calzare le sue, penso come dovrò fare a scendere al secondo campo solo con le calze, vedremo! Questo pensiero mi assilla continuamente. In mezzo alla tormenta ci prepariamo; tutto è gelato, le mani sono coperte dai guantoni rendendo impacciati i movimenti; incominciamo la discesa divisi in questo modo: io davanti, Luigino e Romano dietro, Riccardo, Jack e Annibale.  Mi ritrovo senza scarpe e senza ramponi, scendo bene nella neve molle ma appena trovo quella dura mi devo aggrappare alla piccozza, giunti a un metro dalla prima corda fissa la piccozza si rompe, anche questa doveva succedermi. Riprendo la discesa lentamente fino alla prima corda fissa, in fondo a questa bisogna attraversare, senza ramponi è un’impresa, sto prendendo il chiodo che fissa l’altro capo della corda, scivolo e volo giù alcuni vetri, un forte dolore ai reni, la corda mi ha trattenuto, non riesco a fare nessun movimento. Risalire è impossibile, per fortuna l’altra corda fissa si trova sotto in direzione, allora faccio scendere Luigino e mi faccio calare pian piano. La corda che mi lega alla vita mi serra sempre più, il mio calvario è incominciato, scendiamo sempre incalzati dalla tormenta, ogni tanto scivolo e volo: sono dolori. Siamo sul nevaio, lo attraversiamo così a lume di naso in cerca del passaggio attrezzato, Luigino è in testa, io in mezzo e Romano dietro. Ho fatto passare Luigino davanti per facilitarmi la discesa tracciando la pista. Dopo aver girovagato parecchio in cerca del passaggio. Luigino lo trova ed è al chiodo; mi faccio calare da Romano ma giunto sul ghiaccio vivo scivolo e volo, sono aggrappato alla corda, un fortissimo dolore mi serra la vita, imploro Romano di allentare la corda ma non sente: piango, con la forza della disperazione mi aggrappo alla corda e aiutato da Luigino riesco a raggiungere il chiodo.  Romano scende a sua volta, giunto sul ghiaccio, stringiamo la corda pronti a trattenere lo strappo, ma dopo aver volato nella crepa terminale, con un tonfo di venti metri, si ferma nella neve inconsistente, sembra sia caduto in una vasca d’acqua. Subito si rialza da questo cratere bianco “so fai negott, tott a post” (non mi sono fatto niente, tutto a posto); la tensione è scomparsa, ridiamo tutti e tre; scendiamo anche noi con la corda fissa, però! Qualche centinaia di metri ci separano dal secondo campo, noi tre abbiamo deciso di fermarci. Riccardo, Annibale e Jack, scenderanno al campo base per portare Jack al campo d’atterraggio in caso di una venuta di Scheldon. I compagni si avviano, Annibale mi lancia un arrivederci al Colle del Sospiro, il primo giorno di bel tempo. Siamo stanchi morti, la tenda, il caldo ed il bluette ci ridanno di nuovo la vita. Acqua, acqua, acqua, rimaniamo alzati fino a tardi sciogliendo neve, dissetandoci e ristorandoci.

Sabato 22. Siamo sempre al secondo campo, il tempo è bruttissimo, la tormenta infuria, non ci preoccupiamo, siamo comodi in tenda, dormiamo fino a tardi: il solito lavoro ci attende. Il fornello ci occupa sempre. Ci svegliamo verso le 11, prepariamo una buona scodella di latte che dà l’inizio della nuova giornata. Il pomeriggio l’occupo scrivendo questo diario e aggiustando i pantaloni: mi si è scucito tutto il cavallo. La tormenta non tende a placarsi: aspettiamo, viveri ne abbiamo in quantità, parliamo della discesa, del ritorno in Italia, dei parenti, degli amici, delle nostre montagne ed infine delle donne: siamo a digiuno da due mesi e facciamo il verso del lupo. Romano è preoccupato

Per i suoi piedi, noi lo tranquillizziamo: giacché sono sensibili, niente preoccupazioni. Il morale deve rimanere alto come è sempre stato, siamo alpinisti!

Domenica 23. Giorno del Signore, il tempo si schiarisce, pian piano un caldo sole riscalda la tenda, esco, sono baciato dal sole. Trasmetto la notizia, subito tutti e tre siamo fuori con la roba da asciugare, verso mezzogiorno il tutto è pronto e asciugato; gli zaini pesano tremendamente oltre al nostro materiale personale portiamo anche le tende nel campo 2, partiamo in questo modo: Luigino, io che sono quasi senza piccozza e Romano. Luigino, fatti pochi passi nella neve che arriva fino alla cintola, ritorna dicendo che non si può

Scendere; mi fa dispiacere il suo poco impegno e le sue poche capacità alpinistiche, mi slego e passo in testa. In pochi passi sono sulla cresta. La neve soffiata e scesa l’ha resa pericolosissima, il lavoro di pulitura per progredire è lento e faticoso. Scendiamo piano piano sempre assicurati. A metà cresta un gelido vento ci disturba parecchio ma non fa rallentare la marcia, la gola è riarsa dal sole e dal vento, le parole ci escono con fatica, aspettiamo il momento d’arrivare al primo campo e scogliere neve. Arriviamo alle 3.30, tre buone scodelle di agrumella, lasciamo qualcosa nella tenda per alleggerire gli zaini e riprendiamo di nuovo la discesa. La storia è diversa: qui ci sono le corde fisse che ci portano in fondo al canale. Gradino il traverso del canale e prendo la corda fissa che porta al Nido di Rondine, questo è un pezzo di sesto grado, sebbene attrezzato è molto faticoso. Recupero i compagni che arrivano con la faccia stravolta dallo sforzo, Romano mi chiede di cambiare zaino, subito l’accontento e ricomincio a scendere. Giunti in fondo alla grande placca li aspetto poi riprendo il lavoro della piccozza; gradinare un traverso con un sacco sulle spalle così pesante e affaticato è affar serio, grazie al mio fisico lo faccio senza tante storie e sono alla corda fissa. Ancora un lavoro mi aspetta: l’ultimo traverso che porta al colle, ma grazie alla neve buona ed al cordino di 4 mm in breve lo raggiungiamo, il campo base è sotto i nostri piedi, un urlo di gioia richiama l’attenzione del campo dal quale qualcuno risponde, mi infilo giù per il canale, la discesa che una volta la si faceva di corsa ora è cambiata per la fatica ed il passo è greve. A metà canale mi slego e proseguo solo perché Luigino cadendo continuamente mi invia quantità di neve in testa e qualche sasso nascosto. Poche corde fisse ancora e sono al campo base, solo Annibale mi attende, il ciò mi fa pensare, do uno sguardo alla pista che porta al campo d’atterraggio è immacolata, mi avvicino ad Annibale e tendo l’orecchio. Jack è grave, Riccardo ha mangiato troppo e qualcosa gli ha fatto male ed è in branda. Vado nella tenda a salutare il mio vecchio compagno rincuorandoli ambedue e assicurando che tutto è andato per il meglio: solo fatica. La tenda del campo ci aspetta, la birra scola nelle varie gole mentre sul fornello bolle l’acqua per la tanto desiderata pasta al sugo.

Lunedì 24. Il tempo è bellissimo, sembra che abbia voglia di vendicarsi perché abbiamo vinto.

Ci alziamo tardino tanto il lavoro di quest’oggi è solo quello di portare Jack al campo d’atterraggio ed aspettare Scheldon che arrivi. Una buona colazione ci rincuora, prepariamo il povero Jack che non riesce più a camminare, lo mettiamo nella custodia della tenda grande, i quattro cordini fanno da pettorale, così inizia la discesa.  Riccardo è sempre davanti a segnare la pista ciò è di gran vantaggio per noi anche se sembriamo dei cani alaskani che tirano. La fatica è minore del previsto, siamo vicini al campo d’atterraggio e vediamo Riccardo che estrae qualcosa dalla tenda e ci viene incontro, ci porta la posta e cinque scatole di frutta sciroppata. Mentre stiamo assaporando la frutta, udiamo l’aereo di Scheldon, fortuna migliore non poteva capitare, ci vola sopra per vedere l’accaduto, indi atterra, riprendiamo il traino di gran lena e siamo all’aereo dove accomodiamo il mio caro compagno Jack. Aprendo la posta una grande brutta notizia ci giunge: la morte di Andrea Oggioni e dei francesi, la cosa ci lascia molto amareggiati. Ritorniamo al campo base senza parole mentre Jack prende il volo per l’ospedale di Anchorage.

Martedì 25. Il tempo è bellissimo a dispetto, ci alziamo alle 6 e prepariamo tutto il materiale, lo avvolgiamo in un grande telo e dopo averlo legato ben bene verso le 9.30 tentiamo di avviarci, tutti e cinque tiriamo come muli, la fatica è forte, procediamo per un tratto in queste condizioni. Visto che si faceva troppo fatica sleghiamo il grande pacco e ognuno si carica quello che può, di roba ne rimane ancora molta. Come al solito scendo al campo carico come un asino, il sudore cola a rivoli, ogni tanto mi fermo a fare sosta, scolo una birra e riprendo di nuovo la marcia. Con questo ritmo giungo al campo d’atterraggio insieme agli altri. Romano sdolora per i piedi, non se la sente più di ritornare su. Mangiamo un boccone, con Riccardo e Annibale sotto il sole cocente risaliamo verso il campo base, Annibale ed io. Riccardo si ferma più in basso si carica la tenda sulle spalle e scende. A parer mio Luigino se ne frega della roba del CAI oppure fa fare gli asini agli asini che in fondo penso che facciano gli asini solo per scrupolo di coscienza. Stanchi ritorniamo di nuovo al campo d’atterraggio. Mentre arriviamo vediamo Scheldon che atterra. Al campo troviamo un biglietto che dice: “noi scendiamo così ha voluto Scheldon a tutti i costi”. Salutiamo Riccardo che scende, diamo appuntamento a Scheldon per domani alle ore 8 e ritorniamo, stanchi come siamo, per la terza volta al campo base a prendere gli ultimi rimasugli. Il freddo indurendo la neve ci facilita la salita e la discesa e alle 21 siamo di nuovo al campo d’atterraggio. Preparo una buona scodella di camomilla poi ci ritiriamo nella tenda che ci ospiterà per l’ultima notte.

Mercoledì 26. Il tempo è ancora bello ma tende a diventare brutto. Ci svegliamo presto, forse è l’emozione, parliamo del materiale da caricare, l’ultimo; un certo senso di nostalgia si fa sentire, chissà perché! Se abbiamo desiderato tanto questo giorno? Penso che sia amore per questa cattiva montagna che dopo averci tanto fatto soffrire ci ha regalato la vittoria. Scheldon arriva verso le 10, carichiamo il bagaglio, un saluto ad Annibale, un addio al Mc Kinley mentre il motore rompe il silenzio perenne. Varcate le ultime catene di monti la prima erba compare come d’’incanto: è il ritorno alla vita. Il verde si perde a vista d’occhio, imbocchiamo il grande fiume che porta a Talcheena molto bassi per vedere i mus, ne vediamo parecchi tra cui madri con i loro piccoli che stanno pascolando tranquillamente. Al nostro arrivo alzano la testa, impauriti si danno ad una fuga illogica. Appare la ferrovia, il ponte, Talcheena con il suo aeroporto. Scheldon da vero mago atterra dolcemente, Riccardo mi corre incontro, fotografa, anche una signora vuole fotografarmi, fotografa tutti gli alpinisti che arrivano dal Mc Kinley. Riccardo mi da buone notizie degli amici, Jack sta in buone mani se la caverà in due mesi senza amputazioni, Romano e Luigino in pochi giorni. Gli amici italiani di Anchorage esultano per la nostra vittoria e attendono con ansia il nostro arrivo. Scheldon che era ripartito ritorna con Annibale il quale è nascosto da tutto il po’ po’ di roba e ne esce solo la testa che sembra quella di Anthony Quinn. Carichiamo il tutto mentre Riccardo ritorna sul Mc Kinley a fotografare. Noi ce ne andiamo al fiume a fare un desideratissimo bagno. Al ritorno piazziamo due tendine che ci ospiteranno questa notte. Mentre sto pompando l’ultimo materassino Scheldon atterra, Riccardo è poco entusiasta perché il tempo non era tanto bello. I mosquitos si fanno sentire con le loro punzecchiature quindi è meglio ritirarsi nelle tende. Una capatina al bar più tardi non ce la leva nessuno. Troviamo quattro americani che parlano lo spagnolo, riusciamo così a scambiare qualche parola con qualcuno. Quando usciamo l’ora è molto piccola, siamo pieni di birra, tutti offrono birra e si offendono se non la si accetta.

Giovedì 27. Il tempo è nuvoloso e sta decisamente cambiando. Riccardo deve andare ad Anchorage per accordarsi con i giornalisti, si alza alle 6, naturalmente sveglia anche noi per le solite raccomandazioni: verso le 9 mi alzo, parecchio tempo è passato dall’ultima toilette, con piacere riprendo la vita civile; sole ce n’e’ poco stendiamo le tende ad asciugare, finito questo lavoro non sappiamo come ammazzare il tempo, giriamo i paesaggi ed i luoghi sono sempre quelli. L’influenza del tempo che sta per cambiare ci opprime, trovo che la soluzione migliore che è quella di un sonno e lo faccio volentieri, Annibale invece rimane alzato a guardia delle tende. Alle 13 arriva Scheldon ed il Sig. Agosti, un italiano di Anchorage che si trova a Tahlkeena in villeggiatura, è sceso assieme a Riccardo per fare l’interprete.Ci annuncia che Riccardo si ferma ad Anchorage perché non ha trovato il dottore e ritornerà domani con il treno. Preparo il pranzo: ventresca, funghi e cipolle. Finita quest’operazione un giretto ci vuole per digerire; al ritorno la tenda mi ospita di nuovo, un sonno profondo mi coglie nuovamente, la sveglia la dà la pioggia che scende copiosa, ecco il perché di tutto questo sonno, ritiriamo le tende nell’hangar ed iniziamo il lavoro di piegatura il quale ci prende parecchio tempo. Una visita al bar ma l’ambiente è calmo, forse è la pioggia, beviamo una birra poi ritorniamo di nuovo nella tenda a scrivere il diario. Sono più di due mesi che non sento piovere, è molto bello sentire la pioggia che picchietta sulla tenda, con questo ritmo uguale m’addormento aspettando il nuovo giorno, in quanto anche qui, fra qualche ora, inizia a farsi buio. Dimenticavo di aggiungere che il Sig. Agosti ha anche detto che il Presidente Kennedy ha mandato un telegramma di invito alla Casa Bianca. E’ un vero e grande piacere e onore che l’America può offrire; parecchi altri telegrammi ci sono giunti dall’Italia, sia ieri che oggi, inutile dire che ci hanno fatto molto piacere e sentire molta nostalgia della nostra bella Italia e dell’amata Lecco.

Venerdì 28. Il tempo è nuvoloso, ha piovuto tutta la notte ma nel pomeriggio arriva di nuovo il sole ed è bellissimo. Ora che siamo scesi, il brutto tempo durerà pochissimo; ci alziamo alle 10 non abbiamo niente da fare, intanto che si dorme non ci si annoia. Mi sono appena alzato quando arriva una telefonata di Riccardo che vuole sapere novità su di noi, conferma il telegramma del Presidente Kennedy, non può venire a Tahlkeena perché il Console di Seattle vuole vederlo e pure il Generale delle Forze Armate USA. Rimaniamo ancora soli ad annoiarci, almeno ci dicesse di fare sacchi e bagagli e andarcene. La mattinata passa veloce, spesa e preparazione del pranzo, il pomeriggio mi coglie di nuovo il sonno e dormo, oggi non è più brutto tempo, ma dormo. Mi sveglia Annibale per andare ad imbucare le cartoline, al ritorno mi infilo di nuovo nella tenda, mi ha preso il male della nonna. Non abbiamo voglia di fare niente in compenso mangiamo moltissimo, più di quanto avremmo fatto in Italia. Appoggiati al muro della baracca di Scheldon prendiamo il sole mentre lo sguardo malinconico, da cani bastonati, vaga sul campo d’aviazione in cerca di motivo. Notiamo che non c’è più il movimento d’aerei come quando siamo venuti il mese di giugno, solo Scheldon va e viene intercalando i cinque aerei che ha. Ora guardiamo le macchine ma anche quelle sono sempre le stesse non essendoci strade di comunicazione. Abbiamo appreso però che   l’anno prossimo arriverà da Anchorage una nuova strada e proseguirà fino al parco del Mc Kinley. Andiamo al motel a visitare i nostri amici geologi. Alla nostra vista ci salutano allegramente, parlando ci esprimono il desiderio di vedere il materiale alpinistico, li accontentiamo volentieri accompagnandoli nella baracca, stiamo visitando le due tende piazzate quando Scheldon ci avverte che Riccardo ci chiama al telefono. Ci chiede se siamo stanchi e se vogliamo scendere a   Anchorage, un breve consulto con Annibale e la risposta è un no secco, preferiamo rimanere a Tahlkeena per tutto il tempo d’attesa d’essere ricevuti dal Presidente Kennedy. Accogliamo invece l’invito del Signor Dinelli di andare domani a pranzo da lui ad Anchorage in aereo con Scheldon. Finita la telefonata ritorniamo dai nostri amici, il pilota dell’elicottero vuol farci fare un giro in elicottero, accogliamo l’idea al volo e via. La vista, l’emozione non ha confronti con gli altri aerei. Sorvoliamo Tahlkeena ed andiamo a posarci in un laghetto. Quest’elicottero ha parecchie proprietà, oltre volare sa fare anche da motoscafo, ne godiamo divertiti la prova, ci rialziamo e dopo varie prodezze ritorniamo di nuovo in hotel. Entriamo nella loro camera per bere birra ed entra in scena il salamino. Mentre io vado a prendere l’ultimo salamino Annibale e il pilota vanno a cercare del vino sapendo che ci piace molto. La serata col vino passa allegramente e alla fine siamo tutti contenti e su di giri. Il vino non bevuto ce lo regalano; ci fa molto piacere, domani lo berremo a pranzo, finalmente!

Sabato 29. Il tempo è bello e caldo, ci alziamo molto tardi come al solito così passa in fretta la giornata. Quest’oggi non c’è stato niente di nuovo tranne l’incontro con il fiumano che ha la casa a tre miglia da qui e ci sono tanti pesci, Riccardo c’è già stato e ne ha presi parecchi, chiede sue notizie e degli altri compagni, poi invita noi domani a passare qualche giorno da lui. Cogliamo l’idea, speriamo di trovare una barca per andarci. Il resto della giornata lo passiamo dormendo al sole o in tenda o appoggiati alla baracca di Scheldon con la pipa in bocca, dimenticavo di aggiungere che questa mattina è passato un signore con una macchina fotografica e ci ha fatto delle foto e ce le ha restituite in cinque minuti, pronte da spedire in Italia. La rapidità mi ha sbalordito.

Domenica 30. Il tempo è brutto e piove. A svegliarci questa mattina arriva Scheldon e ci fa capire che tra due ore partiamo per Anchorage, invitati dal Signor Dinelli. Le due ore passano, il tempo peggiora di conseguenza non si può partire con l’aereo, decidiamo allora di prendere il treno che passa alle ore 5. Jerry, il gestore del bar ci aiuta a fare i biglietti ed i bagagli; non che non siamo capaci, ma si offre gentilmente e ci facilita le cose. Il treno da Tahlkeena ad Anchorage ci impiega quattro ore, durante il percorso faccio conoscenza con il dottor Spencer Broden di Cleveland Ohio, specialista delle malattie della testa, turista in Alaska, il quale ha un amico a Milano e mi incarica di salutarlo. La conversazione si svolge in francese. Io lo parlo poco ma riusciamo a spiegarci benissimo, le ore passano velocemente. Alla stazione di Anchorage, una sorpresa: parecchi italiani capeggiati dal Signor Dinelli che ci ha assistito in tutto e dappertutto, Bob Govin, due operatori della televisione ci aspettano, l’accoglienza è commovente. Gli operatori televisivi si danno da fare con le loro cineprese, amici ci chiedono notizie della nostra salute, naturalmente è ottima e ingrassiamo come maiali. Bob è molto contento e noi pure di incontrarci di nuovo. Riccardo è stato ricoverato in ospedale di nuovo per alcuni giorni. Il nostro grande desiderio è quello di andare all’ospedale a trovare i compagni che da parecchi giorni non vediamo, veniamo accontentati. Sulla soglia dell’ospedale incontriamo il dottore curante con il Console italiano che si sono appena congedati dai compagni. La situazione è la seguente: Jack ha bisogno di molte cure, dovrà essere trasportato in Italia accompagnato, Romano dovrà camminare per più di un mese con le stampelle, mentre Luigino e Riccardo guariranno in pochi giorni.  La situazione ci preoccupa assai ma l’idea che a Jack non taglieranno niente ci consola. Ci dà il permesso di salire ma di rimanere fuori dalla porta per paura di un’infezione. Alla vista dei compagni il cuore di entrambi gioisce, un concitato scambio di domande viene presto stroncato dal dottore indicandoci che la visita è terminata. Scendiamo a malincuore le scale d’uscita, è un ordine che eseguiamo volentieri perché sappiamo che è per il loro bene. Fuori dall’ospedale ci congediamo anche dal Signor Dinielli e andiamo a dormire a casa di Bob Govin che dista da Anchorage circa 40 miglia. Dopo più di un’ora arriviamo alla casa di Bob. Si trova in una conca ai piedi delle montagne tra pini grandi e piccoli, è stata costruita da lui stesso con tronchi di pino, sembra la casa di Biancaneve e i sette nani, l’interno è del medesimo stile, con tutti i comfort tranne l’acqua che bisogna attingerla al ruscello vicino.

Lunedì 31. Il tempo è nuvoloso ma per ora non piove, alzata alle ore 7 programma: visita al vicino ghiacciaio e alla seggiovia; un abbondante colazione soddisfa il nostro stomaco, quindi partiamo con la macchina di Bob alla volta del ghiacciaio. Arriviamo con la macchina proprio ai piedi del ghiacciaio, enormi blocchi di ghiaccio navigano nel laghetto formato da lui stesso, l’aria è fresca, asciutta, la vista meravigliosa; peccato che non ho portato la macchina foto. Ritorniamo nei pressi della casa per poi inoltrarci nella valle che porta alla seggiovia. Spira aria di casa, fotografie del Monte Bianco appese qua e là, anche la seggiovia è francese. Bob è di casa in quanto fa il maestro di sci in questa stazione. Saliamo sulla seggiovia per visitare le piste e le montagne ma queste non le vediamo perché incappucciate di nebbia. La seggiovia che dal basso sembrava corta è molto lunga, le piste sono altrettanto ripide, in inverno arrivano fino a 6 metri di neve. Che bello poter fare una scivolata. Nella discesa scorgo in lontananza un mus che pascola tranquillamente, l’addito ai compagni, sarà la nostra attrazione fino all’arrivo. Facciamo una visita ad un alpinista amico di Bob, poi riprendiamo la via di ritorno ad Anchorage. Il Signor Dinelli ci attende per il pranzo che gustiamo moltissimo. Terminato, ritorniamo in ospedale dai compagni. Questa volta possiamo conversare a lungo ma sempre restando fuori dalla camera. Ridiamo a crepapelle per il modo con cui hanno vestito Riccardo! Lui imbronciato risponde “ghi un bel fa violter che si de fò” (avete un bel da fare voi che siete fuori ). Ritorniamo a casa Dinelli dove una gustosissima cena all’italiana preparata dalla Signora attende d’essere assaporata. Mangiamo troppo, poi stiamo male, ma una lunga corsa ci rimette in sesto. Più tardi siamo invitati in casa di un italiano dove vediamo, in compagnia del Console e di altri italiani, interessantissimi film di animali, la loro vita naturale, paesaggi dell’Alaska del Nord. Un ricco carrello con dessert ci sta vicino ma non possiamo onorarlo: meglio stare leggeri questa volta Dimenticavo di dire che nel pomeriggio è tornato bel tempo, in Alaska sono frequenti i cambiamenti da qui partono le varie perturbazioni.

Martedì 1 Agosto. Il tempo è bello, il sole è caldo, mangiamo una colazione all’americana: prosciutto, uova, salame, poi prendiamo il treno che parte alle 9 e con le noiose quattro ore arriviamo a Tahlkeetna. All’arrivo notiamo che nel campo d’atterraggio non c’è il Piper con gli sci, pensiamo che Scheldon sia risalito al Mc Kinley a recuperare l’ultimo materiale lasciato. Dopo qualche ora arriva con alcuni scatoloni e diverse cianfrusaglie. Il pomeriggio lo impiego dormendo e scrivendo il diario, alla sera una visita al bar non ce la leva nessuno, bisogna pur ben ingannare un poco il tempo!

Mercoledì 2. Il tempo è brutto, durante tutta la notte ha piovigginato, ora mattina ha smesso ma è sempre coperto e nero, ci alziamo verso le 9, oggi abbiamo deciso di dedicarci al lavoro, vedremo un po’! Difatti lavo calze, fazzoletti ed altre varie cose, finito il bucato incomincio con Annibale l’imballaggio del vario materiale. Per la prima volta dall’arrivo del Mc Kinley mi metto a cucinare una pasta asciutta, Annibale ha fame, preferisce mangiare come gli altri giorni pane marmellata con burro. Pieno come un otre mi ritiro nella tenda ad ascoltare il ticchettio della pioggia: dura solo un momento poi il sonno mi coglie ed è la tenda che ascolta il mio russare. All’imbrunire mi alzo, lo stomaco comincia a brulicare, riscaldo la pasta asciutta ed è soddisfatto. Una visita al bar, per la prima volta arriva Scheldon, ci offre da bere, è un avvenimento!

Giovedì 3. Il tempo è brutto, piove ininterrottamente, che barba! Oggi dovrebbe uscire Riccardo dall’ospedale, speriamo che domani arrivi, di modo da poter levare le tende ed andarcene a girare un poco, vedere qualcosa di nuovo. Per la levata è sempre il solito orario. Bisogna conservare le abitudini altrimenti come si fa? La giornata trascorre come quella di ieri, conosco un alascano che parla francese di modo che riesco a scambiare qualche parola, piove ininterrottamente per tutto il giorno. Ritorniamo dal bar per dormire ma nessuno dei due riesce a prendere sonno, parliamo fino alle 3 e mezzo, finalmente dormiamo. Non siamo più stanchi delle fatiche, siamo stanchi di dormire.

Venerdì 4. Il tempo è brutto, piove, è il terzo giorno che piove, anche nella tenda è entrata l’acqua, non ce ne curiamo più di tanto, abbiamo un’altra tenda di scorta piazzata, per di piu’ asciutta. Strano a dirsi la tenda nuova fa acqua, la vecchia con toppe no! Dopo mezzogiorno il tempo si schiarisce, appare un’occhiata di sole, ne approfittiamo per sgranchire le gambe con un giretto fino al nuovo aeroporto. Scatto anche qualche foto. La giornata passa adagio, i giorni cominciano ad accorciarsi, anche noi siamo stufi di stare a Tahlkeetna.

Sabato 5. Il tempo è brutto, non piove ma è lì lì per piovere, ci alziamo tardi: sono le 10 passate. Abbiamo portato la colazione in tenda per non avere il disturbo di alzarsi. Mi sono appena alzato quando Scheldon mi regala un bel salmone fresco, preparo padella, olio e inizio a cucinarlo espandendo un tale profumo che tutta la gente che passa si ferma a guardare cosa sto cucinando. Annibale si alza in tempo per la prima padella, man mano che cuoce la divoriamo. All’orario del treno andiamo a vedere se è arrivato qualcuno. Riccardo arriva con Luigino, siamo contenti di vedere i compagni guariti. Possiamo scambiarci le varie notizie, così il tempo passa più velocemente. Facciamo pure un giretto con il fucile ma non vediamo niente, ritorniamo appena in tempo per non prendere l’acqua. Riccardo si mette a scrivere, con Luigino preparo una pasta asciutta, l’ultima e sarà la nostra cena. Tutti e quattro andiamo al bar a passare un paio d’ore con qualcuno, non importa se non riusciamo a intenderci. Anche la notte è l’ultima, mentre Riccardo e Luigino dormono con Annibale rimaniamo svegli fino alle due e mezzo, ci godiamo così l’ultima notte.

Domenica 6. Il tempo è migliorato, il sole riprende a dare vita a tutto e a tutti. Anche questa mattina, benché ci sia il Capo che ha russato tutta la notte, non ci alziamo presto nonostante il pronostico. Stendiamo materasso, sacco letto, tende ad asciugare e imballiamo tutto asciutto. Mentre sto al bar, un americano mi invita a casa sua a far che non lo so, capisco poi che si tratta di aiutarlo a rizzare l’antenna della televisione, per ringraziamento mi regala due stecche di sigarette che fumeremo in società con Annibale.  Imballiamo il materiale ancora rimasto, lo portiamo con la jeep di Scheldon alla stazione. Ora non ci rimane che salutare e aspettare l’orario del treno. Jerry e Frank, i proprietari del bar, ci offrono per l’addio una bottiglia di buon vino. Mi rincresce lasciare questa gente così ospitale e premurosa. E’ il destino della vita, le cose belle arrivano e passano velocemente. Il treno, cosa strana, è in anticipo di un quarto d’ ora , carichiamo i numerosi colli nel bagagliaio, gli americani, la domenica, non lavorano per nessun motivo. Il viaggio è sempre la solita monotonia, si sonnecchia, conversiamo, in questo modo giungiamo alla stazione di Anchorage. Ad attenderci c’è il premuroso Signor Dinelli con i suoi figli. Carichiamo parte del materiale, il resto lo porteremo con un secondo viaggio, a guardia rimango con Annibale. L’attesa si fa lunga, facciamo un giretto per ingannare il tempo, finitolo ne iniziamo un altro. All’arrivo i colli non ci sono più, ridiamo dell’accaduto pensando che tutto sia andato a buon fine. Attendiamo questa volta fuori la stazione che arrivi il Signor Dinelli a prenderci. L’accoglienza è veramente degna di tale nome, lasagne calde e prosciutto cotto soddisfano l’insaziabile stomaco. Per completare la serata assistiamo alla proiezione di parecchi film di Bob, queste ultime prese con noi sul Mc Kinley.

Lunedì 7. Il tempo è variabile come ieri, un’occhiata di sole uno scroscio d’ acqua; questo è in generale il tempo in Alaska. Appena alzati, benché sia lunedì, il Signor Dinelli ci taglia barba e capelli, sbarbati sembriamo altri uomini. La faccia è diventata liscia, non c’è più la barba da poter accarezzare con gesto rituale, la mano cerca la barba che non c’è più. Il lavoro di questa mattina è imballare il materiale da spedire. A mezzogiorno siamo invitati a colazione nel forte Rischiors , una vera e propria città ; l’invito è arrivato dal Maggiore ? donna di origine italiana, che parla solo inglese ed il dialetto parmigiano. Quando abbiamo qualcosa da dire e non far sentire, non possiamo più parlare né in dialetto né in italiano. La Signora Maggiore ci conduce a colazione nella mensa ufficiali, un vero e proprio hotel, c’è tutto: bar, sala soggiorno, sala biliardo, sala da ballo, sala ritrovo, sala ristorante, sembra proprio di essere in una mensa italiana! Finita la colazione abbastanza buona, visitiamo il forte, in alto su di una collinetta si trovano le case degli altri ufficiali, nella pianura da una parte in via gerarchica gli ufficiali, dall’altra i sott’ufficiali e soldati sempre in via gerarchica. Usciamo dal forte contenti sia per l’accoglienza della Signora Maggiore sia perciò che abbiamo visto.  Nel pomeriggio invece facciamo acquisti, Riccardo ci regala un paio di scarpe fatte con pelle di foca, tipiche alascane, visitiamo Jack e Romano e portiamo loro le pantofole. Romano domani uscirà definitivamente dall’ospedale mentre Jack, povero diavolo, dovrà rimanere ancora parecchio tempo per di più solo; si consola stringendo le infermiere. Le dita di Jack mi lasciano impressionato sono tutte e dieci come pezzi di carbonella secchi, scheletriti. Sembra che riprendano la vita internamente; la pelle nera esterna fa da guscio alla nuova interna, così ci spiegano i medici, sicuramente impressionano; ritorniamo a casa del Signor Dinelli per la cena per poi andare a proiettare il film del Gaschembrum Quarto in una sala. In casa Dinelli si mangia all’italiana, gustiamo le specialità. Io e Annibale facciamo onoro anche per gli altri in quanto appetito. Riccardo ci dice di mangiare poco altrimenti non dormiamo, per noi è il contrario. Il film incontra molto successo ed è applauditissimo, per noi non è una novità. Per concludere la serata ci portano in un bar ristorante, due radiocronisti ci fanno un’intervista, il Signor Dinelli fa da interprete; l’intervista dura più di mezz’ora, asciughiamo la gola con whisky e ghiaccio ed infine torniamo a casa a dormire.

Martedì 8. Il tempo è variabile, un tratto piove, un tratto c’è il sole. Attendiamo il momento di imbarcarci per l’Italia e goderci il nostro sole. Ci alziamo tardino non come a Tahlkeetna, però! Il lavoro che sbrighiamo questa mattina è quello di terminare l’imballaggio e spedirel’ultima corrispondenza. A pranzo siamo invitati al Rotary Club. Per dire il vero questo club internazionale che comprende i soci più danarosi, ci lascia alquanto a pancia vuota ma, dice Romano, “un giorno alla settimana bisogna stare leggeri”. Il nostro stomaco presto protesta a questa leggerezza e non si può soddisfare. Riccardo proietta ancora il film del Gaschbrum Quarto anche qui ed è molto applaudito. Usciamo dal club leggeri, in compenso camminiamo meglio per le vie della città e fare gli ultimi acquisti e cambiare le pantofole alascane di Jack e Romano. Ritorniamo volentieri all’ospedale a prendere definitivamente Romano e per salutare l’amico Jack. Domani con il DC 8 alle 9.30 partiremo per New York. Romano è contento di mettere gli abiti civili che da quindici giorni non metteva, Jack cerca di nascondere la commozione del distacco con larghi sorrisi “a presto”! Nello staccarsi provo una sensazione indescrivibile: è come perdere un braccio, ormai da 2 mesi eravamo confratelli, ognuno conosceva le reciproche confidenze, in tutto questo tempo non abbiamo avuto la minima discussione ed è nato un vero e proprio affetto; lascio questa triste parentesi per passare alla casa Dinelli. Attendiamo nel soggiorno con Gin. Il figlio del Signor Dinelli ci prepara le famose braciole allo spiedo, lo stomaco si dilata al solo pensiero. Mentre Gin cura le braciole la Signora ci serve la pasta asciutta col ragù di funghi, in un attimo il piatto si riempie e si vuota nello stomaco, le costate sono pronte, peseranno mezzo chilo l’una; un profumo di carne arrostita si espande nella casa mentre le narici si allargano pregustando. Le bistecche coprono il piatto tanto sono larghe, la carne è molto dolce tenera, non ho mai mangiato braciole di manzo così gustose. Il pasto è completo, frutta sciroppata, infine la torta col gelato accompagnata dal caffé. La pelle della pancia si tende come quella di un tamburo; credo che pungendola ne esca un forte getto. Ho mangiato troppo. Per digerire meglio vado in camera con il ventre in su massaggio pancia e stomaco cercando così di agevolare la digestione. Dormo; quando Romano scende mi sveglio, tutto è passato, ritorno sopra a vedere gli amici che sono venuti a salutarci per l’ultima volta, intanto Gin mi offre una birra che naturalmente accetto. Discendo di nuovo ultimando la valigia e mi corico. Riccardo ci dà raccomandazioni ed incarichi, mi sto appisolando, Riccardo “quando arrivi a Lecco fai questo, quest’altro”, “va bene”, tutto questo borbottare si protrae per tre oquattro4 ore, alla fine si addormenta e mi lascia in pace.

Mercoledì 9. Il tempo è triste come noi, piove, sembra che ci comprenda, ci sveglia alle 6.30 una telefonata che arriva da New York per Riccardo.Giacche sono sveglio mi alzo, una doccia mi sveglia completamente, finita la toilette salgo a salutare la gentile Signora Dinelli che va al lavoro, più tardi il padre Dinelli ci saluta con il suo sorriso largo e cordiale, mi spiace lasciare questa gente così ospitale, è il destino della vita. Partiamo in quattro, io, Annibale, Romano, Luigino. Riccardo invece si ferma ancora per girare un po’ di film. Ormai è giunta l’ora di lasciare l’ospitale casa Dinelli ed Anchorage. Gin e Michele, l’ultimo figlio Dinelli, ci portano all’aeroporto. Faccio l’ultimo acquisto, un foulard ed alcune diapositive. Piove quando ci incamminiamo verso l’aereo, Gin ci accompagna e Riccardo gira il film mentre saliamo sulla scaletta, il capo ci richiama per salutarlo, ci eravamo dimenticati! Una forte stretta di mano con un scoccante bacio ed arrivederci in Italia. Ormai siamo veterani di viaggio in aereo, non c’è più bisogno di istruirci, soltanto non abbiamo imparato l’inglese. Lo stomaco si fa sentire non sappiamo come soddisfarlo, finalmente sentiamo un rumore di vassoi ed arriva la colazione piuttosto magra. Questo aeroplano dovrebbe giungere a New York in sei ore e trenta vale a dire alle 22 ora di New York, passo il tempo scrivendo il diario, sono arretrato di alcuni giorni, all’aeroporto dovrebbe esserci il Signor Faè ad attenderci. Da due mesi non vediamo le stelle ed una notte color pece, questi due fenomeni li rivediamo commuovendoci nel cielo di New York. Parliamo a lungo e ammiriamo il firmamento. Un immenso alone illumina le tenebre: è New York l’immensa città col suo brulichio di luci è sotto di noi l’aereo planando dolcemente scende di quota ed atterra. Scendiamo dall’aereo ed entriamo nel dedalo dell’aeroporto, il Signor Faè ci attende; manda un giovane dell’aeroporto per sbrigare il lavoro per l’uscita. La forte stretta di mano che Ernani ci dà, ha molto valore, è quella di un alpinista, uno dei pochi che ha capito la nostra fatica passata. Ernani telefona alla moglie di preparare la pasta asciutta, durante il tragitto e la serata parliamo delle cose passate e da organizzare. La Signora Faè ci riserva la sua calda accoglienza mentre la fumante pasta asciutta attende e un fiasco di Ruffino troneggia al centro tavolo. Come secondo, due gustosi polli vengono divorati, è il termine adatto al modo con cui li abbiamo mangiati, infine la torta con ottimo Frascati. Sembra di essere arrivati in Italia. C’è un guaio, fa un caldo infernale, si suda a non finire. Con Annibale ritorniamo nella casa che ci ha ospitati nell’andata. La casa dista qualche centinaio di metri ed è di proprietà dei familiari della moglie; il caldo ci perseguita, per tutta la notte non riusciamo a dormire, parecchie volte mi alzo a rinfrescarmi, il fresco è momentaneo, le lenzuola si appiccicano alla nuda pelle: è un vero supplizio, speriamo di partire presto. Verso mattina il caldo non cessa, non è come da noi. Non ci rimane che alzarci ed andare sotto le piante in cerca di fresco.

Giovedì 10. Il tempo è bello, il sole scotta quando ci alziamo, sono le 10 ora di New York, fatta toilette ritorniamo in casa Faè dove un’abbondante colazione ci attende ma sorseggiamo solo latte tea e caffé fresco Il caldo è sempre costante anche se siamo stesi su comode sdraio all’ombra di grosse piante, pazienza. Prima freddo sul Mc Kinley, ora caldo equatoriale a New York. Parliamo del caldo e decidiamo di partire domani. La Signora Faè, esperta in arte culinaria, prepara un ottimo pranzo, inutile dirlo, all’italiana. Ernani puntuale come ci aveva detto arriva alle 3 e visto che sudiamo come fontane decide di portarci al mare, cogliamo l’idea al volo e via verso la spiaggia: uno stormo di macchine è parcheggiata fuori, Faè ci spiega che alla domenica si arriva fino a 75.000 macchine. Entrando verso la spiaggia incontriamo moltissima gente che va e viene sembra di essere in una via della città. Per la prima volta mi tuffo nel mare subito noto che l’acqua è salata, bisogna tenere la bocca chiusa. Sembra di risuscitare, il fresco dell’acqua e della brezza che tira, rendono piacevole il rimanere sulla spiaggia a chiacchierare con il simpatico Faè dell’avventura passata. A sera inoltrata ritorniamo per la cena che consumiamo nel giardino alla luce di due lampade. Rimaniamo alzati fino alle 2; Faè è molto preciso nelle sue cose, vuol sapere tutto dall’a alla z e nuovamente si congratula con noi.

Venerdì 11 agosto 1961. Il tempo è nuvoloso ma il caldo non è cessato, ci rimangono ormai poche ore e poi l’Italia. Questa notte abbiamo dormito abbastanza bene, ci stiamo acclimatando, ma è stato molto più facile al freddo del Mc Kinley. Dormiamo fino a tardi alzandoci per poi sdraiarsi di nuovo sotto le piante. E’ mezzogiorno: dalla cucina arriva un profumino di polenta che stuzzica l’appetito, da parecchi mesi non sento questo profumo, penso e pregusto, il menù del giorno è composto: polenta, salsicce, formaggio, gelato. Passiamo le ultime ore con Faè conversando un po’ su tutto e l’ora arriva più veloce che mai. Non rimane che dare l’arrivederci all’America e ritornare a malincuore in Italia: l’avventura sta per terminare. Mentre sto scrivendo queste ultime pagine mi trovo sul jet italiano che col suo leggero saliscendi mi invita a dormire. Mi sveglio mentre una tenue luce rischiara l’orizzonte: è il nuovo giorno europeo che sta iniziando. Lo spettacolo è dei più suggestivi, impossibile a descriverlo. Un palpito più forte dei normali giunge al cuore quando la radio di bordo annuncia che siamo in vista delle coste francesi. Occhi, naso, bocca, rimarranno incollati all’oblò fino allo scalo di Parigi. Il panorama è sempre vario, d’un tratto il Monte Bianco appare stupendo, imponente, siamo in Italia, a casa. L’uccellaccio, così chiamato da noi il Jet, inizia a scendere; boschi, prati, case si fanno sempre più vicini, infine sfiorando un campo di granoturco tocchiamo il suolo dell’aeroporto Malpensa. Il mio corpo è invaso da una sensazione, solo chi ha provato può capire e gioire. Dalla scaletta scorgo mio padre, mia sorella, gli zii, una baraonda a non più finire di abbracci e baci da amici e amiche, velocemente una macchina mi porta a casa dalla mamma. Nuovi abbracci e baci che non sto a ridire nuovamente ed altre gioie. Una breve parentesi della mia vita si sta chiudendo così felicemente. Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato la possibilità di compiere questo viaggio e quelli che mi sono stati vicini, prima, durante e dopo.

 

NOTA: “Ma continua la scalata della tua vita! E tu certamente la vincerai con lo stesso coraggio. Bravo! ”

Forza Gigi!

Tuo aff.mo  Don Antonio

Lecco 20/05/1966